Due milioni di immagini pedopornografiche censite sul web, quasi il doppio rispetto all’anno precedente. Una boom che trova terreno fertile anche grazie ai genitori che condividono “le immagini di figli” su Facebook e sugli altri social. E’ l’allarme lanciato dal Garante della privacy, Antonello Soro, nella relazione annuale presentata al Parlamento. Secondo recenti ricerche, spiega Soro, “la pedopornografia in rete, e particolarmente nel dark web, sarebbe in crescita vertiginosa: nel 2016 due milioni le immagini censite, quasi il doppio rispetto all’anno precedente”. E tra i motivi di questa crescita c’è anche l’abitudine di mamme e papà di condividere le foto dei propri bambini: “Fonte involontaria – sottolinea il Garante – sarebbero i social network in cui i genitori postano le immagini dei figli”.

“Tutelare dei minori. Bene la legge sul cyberbullismo”
Internet è uno dei fronti sui quali si sta maggiormente concentrando l’attività di prevenzione e controllo da parte dell’Autorità garante della privacy e in quel contesto resta prioritaria la tutela dei minori. Nella relazione Soro promuove la legge sul cyberbullismo, definendo “particolarmente positiva la scelta di coniugare un approccio preventivo e riparatorio, grazie alla promozione dell’educazione digitale e alla specifica procedura di rimozione dei contenuti lesivi presenti in rete. Il meccanismo delineato – ricorda – evita una preventiva e generalizzata ingerenza da parte dei provider e tuttavia li responsabilizza su segnalazione degli interessati, anche se minori”.

Fake news: “Serve educazione, non Tribunali della Verità”
Riguardo al tema delle fake news, spiega Soro alla Camera, la risposta non va cercata né nella “via esclusivamente tecnologica”, né in quella “penale, che finirebbe con l’assegnare alla magistratura il ruolo di Tribunale della Verità“. E’ “illusorio pensare che possano esistere nuove autorità od organi certificatori della verità”, sostiene. Il fenomeno andrebbe invece contrastato con “una strategia complessa e articolata, ma non per questo meno energica” che dovrebbe poggiare le sue fondamenta in “un forte impegno pubblico e privato nell’educazione civica alla società digitale“. In pratica: “Sistematica verifica delle fonti e forte assunzione di responsabilità da parte di ciascuno: dal singolo utente alle redazioni e, certo, ai grandi gestori della rete”.

Da ‘Grandi Fratelli’ della rete “condizionamenti decisivi”
Proprio su quest’ultimi si concentra un altro passaggio della relazione annuale. Bisogna prestare attenzione ai “tanti ‘Grandi Fratelli’ che governano la rete”. Soro sottolinea come “un numero esiguo di aziende”, cioè i monopolisti del web, possieda “un patrimonio di conoscenza gigantesco” e disponga “di tutti i mezzi per indirizzare la propria influenza verso ciascuno di noi, con la conseguenza che, un numero sempre più grande di persone – tendenzialmente l’umanità intera – potrà subire condizionamenti decisivi“. Anche perché “l’intervento statale è reso più complesso dalla capacità delle nuove tecnologie di scardinarne i presupposti essenziali: in primo luogo la territorialità, quale criterio di competenza ed applicazione della legge”. L’Autorità si sofferma anche sul rischio che, nel mondo dominato dal digitale, l’identità personale si riduca a una “cifra per Big Data” e un “dato economico da sfruttare commercialmente”, ovvero in “un profilo di consumatore, elettore, comunque utente che un algoritmo attribuisce a ciascuno, finendo per annullare l’unicità della persona, il suo valore, la sua eccezionalità”. Per questo oggi il diritto alla protezione dei dati “viene sempre più invocato di fronte a soverchianti ‘schiavitù volontarie’ cui rischiamo di rassegnarci, in cambio di utilità e servizi digitali che paghiamo al prezzo di porzioni piccole o grandi della nostra libertà”.

“Privacy serve per lotta al terrorismo”
La tutela della privacy, continua Soro, resta uno strumento “indispensabile” nella lotta al terrorismo. Anche se dall’attentato alle Torri Gemelle il suo rapporto con la sicurezza è cambiato, ci sono i fatti a dimostrare “come di fronte alle nuove minacce – sottolinea – la privacy sia non solo possibile, ma addirittura indispensabile per rendere le attività di contrasto più risolutive, perché meno massive e quindi più orientate su più congrui bersagli”. Un passaggio della relazione è stato dedicato anche e a chi si occupa delle intercettazioni informatiche nel corso delle indagini. I nuovi strumenti d’inchiesta, in particolare quelli informatici, richiedono “l’adozione di adeguate misure di sicurezza, da parte di ciascun soggetto coinvolto in ogni fase dell’indagine”, così da “minimizzare i rischi inevitabilmente connessi alla frammentazione dei centri di responsabilità, derivanti dal coinvolgimento di soggetti diversi nella catena delle attività investigative”. Per questo, “va certamente regolamentato l’utilizzo dei captatori a fini intercettativi (i cosiddetti trojan horse), definendo con rigore il perimetro delle garanzie, in ragione della strutturale diversità di tale strumento investigativo rispetto a quello normato dal codice di rito”. E’ inoltre “indispensabile”, dice ancora Soro, “selezionare i fornitori di servizi di intercettazione” perché “l’esternalizzazione di diverse operazioni investigative” rende “assai più permeabile la filiera su cui si snoda l’attività, meritevole per ciò di una tutela rafforzata”.

“Da hacker 9 miliardi di danni alle aziende: investano”
Nella Relazione si parla anche di
 sicurezza informatica delle aziende, un tema caldo dopo gli attacchi degli ultimi mesi su scala mondiale, e di telemarketing selvaggio. “Nel 2016 gli attacchi informatici avrebbero causato alle imprese italiane danni per 9 miliardi di euro, ma meno del 20% delle aziende farebbe investimenti adeguati per la protezione del proprio patrimonio informativo”, spiega il presidente dell’Autorità. Si sofferma poi sui “rilevanti illeciti commessi da primarie società di telefonia” che hanno portato a “importanti provvedimenti sanzionatori” (circa 2,6 milioni di euro) che hanno portato a suggerire “al legislatore modifiche normative tali da rafforzare le garanzie dei cittadini e contrastare, in particolare, le condotte elusive della disciplina fondata sul consenso – conclude – Il disegno di legge di riforma di tale disciplina, all’esame del Senato ha raccolto alcune di queste indicazioni e, ove superati gli effetti contraddittori di una norma contenuta nel ddl concorrenza, potrebbe condurre verso un governo più efficiente del settore”.

 

 

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