L’Iran è uno dei pochissimi paesi al mondo a mettere ancora a morte minorenni. Al momento del reato, beninteso. Perché poi, per impiccarli, si aspetta che diventino adulti.

Mehdi Bahlouli, in attesa dell’esecuzione, di anni ne ha attesi più di 15. È stato condannato a morte nel novembre 2001, quando aveva 17 anni, per l’omicidio di un coetaneo. Mercoledì scorso, il boia si è fermato all’ultimo minuto, grazie agli appelli provenienti da ogni parte del mondo.

Nonostante la riforma del codice penale islamico del 2013 consenta ora ai giudici di sostituire la pena di morte con un’altra punizione se ritengono che l’imputato minorenne non si sia reso conto della gravità del crimine commesso e delle sue conseguenze o se hanno dubbi sulla sua effettiva maturità mentale, le esecuzioni di minorenni al momento del reato non cessano.

Secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International sulla pena di morte nel mondo, in Iran nel 2016 sono state eseguite non meno di 567 condanne a morte (un numero enorme, tuttavia inferiore di oltre il 40% rispetto a quello del 2015), di cui sette nei confronti di minorenni al momento del reato.

Nei primi tre mesi di quest’anno, di minorenni al momento del reato ne sono stati impiccati già due: Arman Bahrasemani e Hassan Hassanzadeh. Tre invece, Sajad Sanjari, Hamid Ahmadi e per l’appunto Mehdi Bahlouli, quelli che gli appelli internazionali sono riusciti a salvare.

Il 10 maggio potrebbe essere la volta di Peyman Barandah. Nell’agosto 2012, quando aveva 16 anni, è stato condannato a morte per aver ucciso con una coltellata un suo coetaneo durante una rissa.

Nei bracci della morte dell’Iran si trovano oltre 90 condannati a morte per reati commessi quando erano minorenni. Nella maggior parte dei casi, sono in attesa dell’esecuzione da anni. Alcuni sono stati più volte a un passo dall’impiccagione, rinviata o sospesa all’ultimo minuto.

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