La legge per la donazione degli organi diventerà maggiorenne ad aprile, eppure l’Italia non ha mai attuato la sua componente più innovativa. Non lo sa – o non lo ricorda – quasi più nessuno, ma secondo la legge 91 del 1999, pubblicata in Gazzetta ufficiale il 15 aprile dello stesso anno, in Italia la pratica dovrebbe essere regolata dal silenzio-assenso ‘informato’: siamo tutti donatori, a meno che non esprimiamo un diniego nel corso della nostra vita. Insomma il principio è previsto, ma nessuno si è mai preoccupato di farlo mettere in pratica. Serviva un decreto che permettesse di far partire le notifiche, ma non è mai stato scritto. Il motivo? Il ministero della Salute, contattato da ilfattoquotidiano.it, non ha dakto alcuna risposta.

Insomma, diciotto anni dopo l’approvazione della legge, siamo fermi ancora all’articolo 23, disposizioni transitorie, quello che avrebbe dovuto regolare la donazione degli organi per appena tre mesi, il tempo di scrivere i decreti. A sua volta, l’articolo 23 rimanda al comma 2 dell’articolo 28 che ti rimbalza all’articolo 7 che descrive i principi organizzativi riguardo i prelievi e i trapianti di organi e tessuti. Quando la legge venne approvata, l’allora ministro della Sanità Rosy Bindi e la presidente della commissione Affari sociali della Camera Marida Bolognesi parlarono di un “risultato importante, una buona legge che ci porta finalmente in Europa”, dove in varie legislazioni il principio del silenzio-assenso era stato introdotto fin dal 1983. Ora, se possibile, è ancora peggio: è previsto dalla legge, ma si preferisce non applicarlo.

Eppur si dona
Il proposito è rimasto su carta, ma nonostante questo l’Italia – va detto – resta uno degli Stati europei dove si dona di più. Meglio fanno solo la Spagna e la Francia, dove si è tutti donatori per legge da pochi mesi salvo un chiaro rifiuto da inserire in un apposito registro. Per ovviare alla mancata applicazione del ‘silenzio-assenso’, molto discusso anche all’epoca e per colpa del quale l’intero impianto non venne votato all’unanimità né alla Camera né al Senato, il ministero della Salute e le associazioni attive sul tema hanno trovato delle vie per incentivare l’informazione e aumentare le dichiarazioni di volontà, ancora oggi necessarie nonostante il voto del Parlamento. Ilfattoquotidiano.it ha chiesto al ministero guidato da Beatrice Lorenzin – ma non ha ottenuto risposta – di spiegare la mancata applicazione del silenzio-assenso, confermata dal sito dello stesso dicastero. Si legge infatti sul portale ufficiale: “È importante sapere che nel nostro Paese il principio del silenzio-assenso non ha mai trovato attuazione, sebbene previsto dalla Legge 91/99”, approvata il 31 marzo e firmata il giorno dopo dall’allora presidente Oscar Luigi Scalfaro. “Eppure, se in tutte le regioni si donasse tanto quanto si dona in Toscana, avremmo risolto il problema, attuazione o meno della legge”, spiega a ilfattoquotidiano.it Flavia Petrin, presidentessa nazionale dell’Aido, l’associazione italiana per la donazione di organi, tessuti e cellule.

Cosa prevede il testo
Ma cosa prevedeva il testo? L’articolo 4 recita: “I cittadini sono tenuti a dichiarare la propria libera volontà in ordine alla donazione di organi e di tessuti del proprio corpo successivamente alla morte, e sono informati che la mancata dichiarazione di volontà è considerata quale assenso alla donazione”. È attorno a questo che ruota il problema. All’allora ministero della Sanità spettava emanare un decreto per regolamentare come sarebbe dovuta avvenire la notifica a tutti i cittadini maggiorenni. “I termini, le forme e le modalità attraverso i quali le aziende unità sanitarie locali sono tenute a notificare ai propri assistiti, secondo le modalità stabilite dalla legge” dovevano essere disciplinate da quel decreto mai scritto che avrebbe anche dovuto garantire “l’effettiva conoscenza della richiesta da parte di ciascun assistito”. E in caso di mancata risposta, per essere certi della notifica e quindi della conoscenza del principio del silenzio-assenso, i cittadini avrebbero dovuto ricevere anche delle sollecitazioni. I dati sarebbero poi stati inseriti nel Sistema informativo trapianti, un database per il quale era stata autorizzata una spesa di un miliardo di vecchie lire all’anno a partire dallo stesso 1999.

“Una scelta in Comune”, il piano B
È lì che oggi vengono inserite le dichiarazioni di volontà raccolte dalle Asl, dall’Aido e dai Comuni che hanno aderito al progetto Una scelta in Comune, voluto dal ministero della Salute, dal Centro nazionale trapianti – altra novità introdotta dalle legge 91/99 – e dall’Anci e che vede l’Aido come partner. L’Umbria è stata la regione pilota nel 2012, poi dall’agosto dell’anno successivo l’iniziativa è stata aperta a tutti i comuni italiani. In cosa consiste? Le amministrazioni possono stabilire che il proprio ufficio anagrafe diventi un punto di raccolta e registrazione delle dichiarazioni di volontà al momento del rilascio o del rinnovo della carta d’identità. Basta una delibera di giunta, la formazione del personale e l’interconnessione tra il sistema usato dal Comune e il Sistema informativo trapianti. Un’opzione che del resto era prevista anche dalla legge del 1999. Tra le varie modalità informative prevedeva infatti quella “degli uffici della pubblica amministrazione nei casi di richiesta dei documenti personali d’identità”.

Progetto attivo solo in un comune su cinque
L’adesione non è però obbligatoria. “Al 28 febbraio il progetto era attivo solo nel 19,13 per cento dei comuni italiani. Una cifra ancora molto bassa. Sul sito del Centro nazionale trapianti c’è tutto il materiale informativo. Basta poco, appena una delibera di giunta”, dice Petrin che definisce l’adesione “un obbligo morale” per aumentare i donatori italiani. Anche perché i numeri fatti registrare da Una scelta in Comune sono confortanti: “Nel 2016, abbiamo avuto il 30,3 per cento di opposizione alla donazione, cioè i parenti delle vittime ha detto No al prelievo degli organi, perché spesso la domanda viene fatta nel momento sbagliato, subito dopo la morte, quando il dolore è grande – continua Petrin – Tra i residenti maggiorenni che hanno manifestato la volontà a donare nei comuni aderenti al progetto, invece, poco più del 10 per cento esprimono il diniego”. Ci sono anche comuni che hanno già deliberato l’adesione a Una scelta in comune e hanno il personale formato, ma il progetto non è ancora attivo anche per problemi legati ai server nei quali caricare i dati. “Speriamo in una partenza veloce”, aggiunge la presidentessa dell’Aido.

Male il Mezzogiorno, Toscana ‘capitale’
Ma come si compone la geografia delle donazioni in Italia? Il 28 febbraio erano 1.539 su 8.047 i comuni attivi, con percentuali di adesione molto diverse da regione a regione. Mentre in provincia di Bolzano l’89,7% dei centri partecipa già al progetto, in Abruzzo sono appena il 9,51. E va ancora peggio in Basilicata (5,43), Campania (4,73), Calabria (4,65) e Molise (4,41). Cifre così basse nel Mezzogiorno, secondo Petrin, si spiegano con “un’organizzazione sanitaria più carente rispetto al Nord, dove l’informazione è più capillare perché Aido è più presente” e probabilmente anche per “una maggiore fiducia nel Sistema sanitario nazionale”. Una cifra riassume tutto: in Italia ci sono 24,3 donatori per milione di popolazione, in Toscana il dato sale a 53 mentre in Calabria si ferma a 11,6. “La Toscana è una sorta di capitale della donazione. Se tutte le regioni avessero quei numeri, daremmo una risposta positiva a chi è in lista d’attesa, ovvero garantiremmo un loro diritto. Al di là delle leggi”, taglia corto la presidentessa dell’Aido.

I dati del 2016: “Cifre incoraggianti, la rete funziona”
I dati vengono comunque valutati positivamente a livello nazionale, poiché su base annua continuano a registrarsi incrementi su incrementi. Nel 2016, ci sono stati 3.736 trapiantati, 409 in più rispetto al 2015 con un incremento del 13%. Sono aumentati anche i donatori, quasi 1.600 (+7,5%) ma al 31 dicembre vi erano ancora 8.856 persone in lista d’attesa. Con un numero che più degli altri fa gioire l’Aido: “Nell’ultimo anno, sono calate le liste d’attesa per rene e polmone. Grazie all’aumento dei trapianti, ci sono stati più uscite che ingressi. È la prima volta che registriamo un saldo positivo”. Il trend è confermato anche dai primi mesi del 2017. “È la dimostrazione che la rete trapiantologica, composta dal Centro nazionale trapianti, le sue sedi regionali, gli ospedali e le associazioni, funziona. Bisogna continuare a spiegare alle persone perché è importante donare, e farlo sempre di più – conclude Petrin – La differenza tra le percentuali di diniego che riceviamo da famigliari di deceduti e dalle persone in vita è la dimostrazione pratica che è necessario intensificare una capillare opera di informazione”.

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