Diletta Leotta è stata ed è vittima di cyberbullismo. Rubare le sue foto e ripubblicarle senza il suo consenso non è giusto e gli effetti dello squadrismo sessista e misogino che si esercitano a fare slut shaming su di lei determinano conseguenze anche sul piano psicologico. Dovete convincervi che quello che scrivete online è reale e ha conseguenze sulla vita reale. Il fatto che non vedi in faccia una persona mentre la insulti non significa che quanto stai facendo sia giusto o divertente. Non c’è nulla di divertente nel rovinare la reputazione di una persona e nell’alimentare la cultura dello stupro. Se lei ha fatto quelle foto se l’è cercata? Se lei mette una gonna con lo spacco e poi parla di cyberbullismo non è credibile? Un po’ come dire che se vai in giro in minigonna non sei più una persona che può essere vista in quanto tale. Si può parlare di cyberbullismo anche mostrando il corpo, per decisione propria e non perché qualcuno decide di usarlo al posto tuo. Lo abbiamo fatto con una campagna sui corpi liberati soprattutto per rispondere ad una pessima abitudine che sta mietendo vittime tra ragazze minorenni le cui immagini sono collezionate in particolari archivi facilmente rintracciabili in rete con le foto divise per nome, età, denominazione sessista.

Questo è quello che sta accadendo in rete e se Diletta Leotta ha voluto parlare della sua esperienza perché, da persona adulta, è riuscita a scrollarsi di dosso il ruolo di vittima ed è diventata soggetto attivo pronta a difendersi da chi la attacca, ha fatto benissimo. Poteva farlo anche in mutande, perché nulla ti dà il diritto di insultarla e bullizzarla. Nulla dà a nessun@ il diritto di insultare chiunque per il gusto di farlo. E non ci interessano le giustificazioni, gli alibi, i balbettii di ragazzi e ragazze che si improvvisano esperti di competenze da show girl per poi concludere che lei merita quello che le succede “perché non è nessuno” o “perché sta lì solo perché l’ha mostrata”. Stesso andazzo del tempo che riguardò Belen per la farfallina sull’inguine. Ci fossero più farfalline e meno cyberbull* staremmo tutt* meglio.

Ed è inquietante come la sessuofobia impera, come basti la vista di una coscia o un seno per arrapare eserciti di coglioni e di stronze che non hanno nulla da fare se non farsi seghe o giustificarle godendo del dolore inflitto ad altre persone.

Se Caterina Balivo avesse saputo quel che accade in rete avrebbe detto quel che ha detto? Ci fa piacere che si sia scusata, più o meno, ma ciò non toglie che non basta essere dalla parte delle donne per poi dettare norme sull’atteggiamento, sul comportamento, sull’abbigliamento. Personalmente trovo le presentatrici che fanno tanto Italietta nazional popolare molto poco attraenti, intellettualmente parlando. Non penso che ribadire stereotipi sul comportamento delle femmine sia un modo per aiutare le donne e di sicuro non si sente aiutata, che so, una ragazza che racconta, per esempio, di aver subito uno stupro pur vestendo con un abito scollato. Non sono i centimetri di carne esposta a caratterizzare il valore di una persona o la sua credibilità.

Non conosco Diletta Leotta, non l’ho mai incontrata né mai, probabilmente, la incontrerò, ma quel che ha subito non è giusto e ha tutto il diritto di parlarne, per se stessa e per chi subirà la stessa sorte. Quello che abbiamo visto in Italia è che non c’è un modo per difendersi dal cyberbullismo, quando comincia il linciaggio online, da parte di persone con un profilo perfettamente visibile, perché anche basta dire che i cattivi si nascondono dietro l’anonimato. Andate a leggere i commenti insultanti di chi si firma con nome e cognome immaginando di poter godere di tanta impunità. Perciò molte persone ci chiedono di fare qualcosa e abbiamo messo online una petizione diretta al dipartimento Pari opportunità e alla ministra all’Istruzione perché il rispetto dei generi deve partire da lontano, attraverso l’educazione e l’alfabetizzazione di chi vive di analfabetismo funzionale o di analfabetismo informatico. Perciò abbiamo creato delle slide utili per chi vuole occuparsi del problema.

Se non sapete come usare internet qualcun@ dovrà spiegarvelo. Non per dire a chi si spoglia di rivestirsi ma per dire a chi si permette di molestare e bullizzare, oltre che diffamare, perseguitare, violare la privacy, delle vittime, di smettere e iniziare a comprendere che ogni parola è una pietra, ogni gogna attiva su una donna messa al rogo è una pugnalata al cuore che crea danni fisici e morali. C’è chi si è suicidat@ per questo eppure i bulli e le bulle non sembrano capire, quasi che godano anche di più della vulnerabilità delle vittime. E si comportano da stupratori, in branco, a eiaculare sui corpi violati, senza fermarsi neppure quando lei muore. Tiziana Cantone è morta suicida. Quante ancora dovranno morirne per capire che serve dire basta? Diciamolo insieme: basta!

Dalla parte di Diletta Leotta e di chi, come lei, diventa vittima di cyberbullismo e slut shaming. Perché questa cosa ci riguarda tutte. Il tentativo di normare la nostra esistenza, di imporre decoro sessuofobico contro la nostra fantastica e favolosa indecenza, tutto quel che comporta una ricaduta sul piano culturale ci riguarda. Oggi tocca a Diletta Leotta, domani a chi toccherà?

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