La famosissima scena della proiezione del cortometraggio dei fratelli Lumiere L’Arrivée d’un train en gare de La Ciotat, del 1896, provoca  un sorriso nostalgico un po’ in tutti noi digitali, nativi e “tardivi”. A essere sinceri, il timore causato dall’arrivo del treno contro lo schermo è un sentimento insito ancora oggi in molti contesti, pubblici in particolare, dove si cerca di trovare un riparo di fortuna nel vano tentativo di proteggersi dall’impatto del digitale, fuggendo a gambe levate.

È il caso della pubblicazione da parte dell’Autorità Nazionale Anticorruzione dei “Modelli di segnalazione per le comunicazioni utili ai fini dell’esercizio del potere sanzionatorio dell’Autorità, relativamente ad Operatori Economici nei cui confronti sussistono cause di esclusione ex art. 80 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, nonché per le notizie, le informazioni dovute dalle stazioni appaltanti ai fini della tenuta del casellario informatico”.

Ricostruiamo l’accaduto: l’Anac, in un comunicato del 21 dicembre 2016, ha reso pubbliche le diverse tipologie di modello in formato «pdf» e in formato «word» (quest’ultimo per consentire la compilazione «personalizzata») per uniformare le segnalazioni relative agli obblighi informativi verso l’Autorità in tema di contratti pubblici da parte degli operatori del settore (stazioni appaltanti, Soa, operatori economici e soggetti interessati), sia ai fini dell’esercizio del potere sanzionatorio riconosciuto all’Anas sia per la tenuta del casellario informatico. Si tratta di undici modelli, ognuno destinato a raccogliere le segnalazioni obbligatorie nei procedimenti di appalto di lavori pubblici: dall’accertamento di falsa dichiarazione resa in sede di gara, alla segnalazione di irregolarità, o di omessa comunicazione di atti comportanti il trasferimento d’azienda.

L’Autorità, inoltre, ha avuto la premura di chiarire le relative procedure di trasmissione dei documenti, tra le quali è espressamente indicata la seguente: «ovviamente, i modelli compilati in “word”, prima di essere trasmessi via pec alla Autorità, dovranno essere stampati, sottoscritti dal responsabile (in genere il rup) e trasformati in formato preferibilmente “pdf”»!

A parte l’inesattezza terminologica di accostare il formato “.pdf” al “word” – che non è in realtà un formato documentale, lo sarebbero eventualmente il .docx o .odt – ciò che intenerisce davvero è la (per nulla ovvia!) necessità di dover passare ancora attraverso la stampa del documento per poter dialogare con la Pubblica Amministrazione. Gli sventurati operatori economici che debbano segnalare situazioni impreviste si trovano costretti così a generare un documento attraverso un word processing (sorvolando sul fatto che il Codice dell’Amministrazione Digitale suggerirebbe l’utilizzo di formati aperti e non proprietari) quindi compilarlo, stamparlo e sottoscriverlo ovviamente con firma autografa, per poi generarne attraverso un processo di scansione un’ulteriore copia digitale per immagine e, finalmente, inviarlo via Pec all’Autorità.

A questo punto, sarebbe stato meglio consigliare al malcapitato di turno di usare, per trasmettere le proprie istanze debitamente sottoscritte su carta, il caro e vecchio telefax, ancora riconosciuto come mezzo valido di trasmissione  ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. 445/2000 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa).

Resta il fatto comunque che il provvedimento dell’Anac è talmente demenziale da sembrare un fake (e, in effetti, non sono pochi, nell’immediatezza della pubblicazione, ad averlo pensato!), non solo a rigor di logica, ma soprattutto ai sensi dell’art. 45 comma 1 del Codice dell’Amministrazione Digitale (D. Lgs. 82/2005, recentemente modificato dal D. Lgs. 179/2016), che riconosce il valore giuridico “della forma scritta” al documento (anche quello informatico, quindi) trasmesso da chiunque a una pubblica amministrazione per mezzo di un qualsiasi mezzo telematico o informatico, purché idoneo ad accertarne la fonte di provenienza, ritenendo inutile far seguire l’inoltro del documento originale. A completare il disposto del citato articolo, il Legislatore è intervenuto, poi, al comma 2 riconoscendo valore giuridico all’invio telematico dei documenti se recapitati all’indirizzo di posta elettronica dichiarato del destinatario.

E vogliamo evitare di girare il dito nella piaga, fingendo di non ricordare che lo stesso Codice dell’Amministrazione Digitale pone per le pubbliche amministrazioni la precisa regola di consentire ai cittadini l’inoltro delle proprie istanze e comunicazioni direttamente on line, previa identificazione (tramite Spid – Sistema Pubblico di Identità Digitale; Cie – Carta d’Identità Elettronica o Cns – Carta Nazionale dei Servizi). Ma questa “è un’altra storia”, per rimanere in tema di citazioni cinematografiche.

L’Anac, quindi, si è appena affacciata in modo piuttosto tafazziano al percorso di digitalizzazione proclamato nell’Agenda Digitale di renziana memoria, mantenendo in realtà una (mal)celata riserva mentale refrattaria ad abbandonare carta e penna, sebbene il Legislatore tenti da più di un ventennio di tracciare tutt’altro iter per promuovere il digital first.

Sembra anzi che in molti abbiano interpretato quel “first” come se, per prime, dovessero essere proprio le vecchie (e cattive) abitudini a essere convertite, arrabattando improbabili soluzioni di digitalizzazione e improvvisando competenze professionali che si ritiene, evidentemente, di possedere, data la dimestichezza con tweet e tag.  Alla luce di queste considerazioni, il nuovo acronimo di Anac potrebbe essere sciolto in Associazione Nazionale Amatori Carta immaginando, giusto per completare lo scenario, una fuga di massa di travet di lungo corso (i succitati “rup”?) all’arrivo di una Pec, per paura dell’impatto del digitale sulle proprie, rassicuranti, prassi cartacee.

Del resto, nella nostra strana agendina digitale tutta italiana chi di bit ferisce poi di carta perisce!

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