Non si vive di solo Frank Underwood. La mitologia della rappresentazione presidenziale statunitense è uno storico e radicato tormentone da patologia conclamata modello 15 minuti di celebrità. Mentre sta per uscire in Italia “Ti amo presidente”, il giusto commiato per Barack Obama (interpretato da Parker Sawyers), la storia del primo appuntamento con Michelle, ora dopo ora, parola dopo parola, “Fa’ la cosa giusta” prima del gelato al cioccolato, ecco riaffiorare alla mente le centinaia di maschere da presidente, non quella utilizzate in Point Break (a proposito Reagan, Nixon, Carter e…), ma quelle che hanno fatto capolino su grande e piccolo schermo come protagonisti, nome di battesimo, tic e idiosincrasie originali tutte.

Udite, udite: ci sono stati 200 veri presidenti, cifra tonda, a riempire il rettangolo grande sul fondo della sala dei film visti; a cui vanno aggiunti sempre al cinema altri 131 presidenti “inventati” (dallo Shepherd di Michael Douglas in Il presidente – Una storia d’amore al Kramer di Jack Lemmon in My Fellow Americans), più tutto il blocco televisivo fatto di 65 presidenti “inventati” (modello Underwood o Josiah Bartlet di West Wing), e ad un’altra cinquantina di finti Bush, Roosevelt e Taft. Sempre a livello di numeri svetta Abraham Lincoln, portato su grande schermo 32 volte. Oltre al rallentato e sepolcrale Lincoln di Daniel Day Lewis diretto da Spielberg, il presidente che vinse la Guerra Civile Americana è stato interpretato, tra gli altri anche da Henry Fonda e John Carradine. Seguono le 16 volte per George Washington (Jeff Daniels lo ha interpretato nel 2000 nell’evocativo The crossing); le 13 di JFK (attenti a Kevin Costner che l’ha sfiorato più volte da vicino – JFK di Oliver Stone e 13 Days – ma mai lo è stato) e Theodore Roosevelt (mirabile quello di Robin Williams nella saga di Una notte al museo); gli 11 del da noi sconosciuto Ulysses Grant; e le 10 volte di Richard Nixon e Franklin Delano Roosevelt.

Difficile però stilare una classifica del miglior presidente finito al cinema o in tv. Quello che ricordiamo con molto affetto, è il doppio commander in chief di Kevin Kline in Dave – presidente per un giorno. In piena epoca progressista alla Clinton (1993) nel film di Ivan Reitman il sosia del vero presidente deve prendere immediatamente il suo posto perché a Mitchell viene un ictus. Così l’impiegato Dave si trasforma in Mitchell e diventa un po’ il Mister Smith grillino a Montecitorio, tanto che in una celebre sequenza si mette lì a limare i conti dell’esecutivo fino a far quadrare i conti del paese come un cittadino prestato realmente alla politica. Avido e squallido è il Gene Hackman presidente stupratore in Potere Assoluto di Clint Eastwood, straordinariamente viscido il Nixon interpretato da Anthony Hopkins per Oliver Stone (un’ossessione quella per i presidenti del regista newyorchese che oltre all’omicidio Kennedy regalerà anche la caricatura di George Bush junior in “W” con Josh Brolin), ingordo di potere il Jack Stanton di John Travolta che sembra Bill Clinton (anzi lo è) con a fianco l’altrettanto ingorda Hillary (Emma Thompson) nel film I colori della vittoria di Mike Nichols. C’è poi la genia, riuscitissima, dei presidenti sotto attacco alieno (Bill Pullman in Indipendence Day – Morgan Freeman in Deep Impact o l’infingardo Jack Nicholson presidente per Tim Burton in Mars Attack!). Divertente anche il presidente nero di Samuel L. Jackson che finisce invischiato in un attentato aereo nel recente Big Game. E ancora di un certo impatto drammaturgico Geena Davis, prima donna presidente (per una mini serie tv) con Commander in Chief tra il 2005-2006. Poi chiaro che se la confusione ha regnato tra istituzione e finzione (vedi l’attore Ronald Reagan, mister president repubblicano nei primi anni ottanta) , sarebbe bello capire se esisterà mai una pièce per l’ancora concorrente alla presidenza Donald Trump che a livello di mimica e gestualità in campagna elettorale è riuscito ad emulare le migliori star di Hollywood.

Noi però preferiamo ricordare due figure defilate che i presidenti li hanno serviti e riveriti, fin quasi a togliergli scena e primi piani. Il primo è il (vero e nero) maggiordomo della Casa Bianca Cecil Gaines (Forrest Whitaker) in The Butler, diretto da Lee Daniels. Cecil, che nella realtà fu Eugene Allen, lavorò gomito a gomito, anche se con i guanti bianchi, con ben sette presidenti (Dwight D. Eisenhower, John Fitzgerald Kennedy, Lyndon B. Johnson, Richard Nixon, Gerald Ford, Jimmy Carter e Ronald Reagan), dal 1957 al 1986, per poi chiudere con la mirabile staffetta simbolica dell’arrivo al soglio presidenziale del nero Obama. L’altro grandioso protagonista dell’indimenticabile Oltre il giardino (diretto dal Hal Ashby nel 1979), è Chance il Giardiniere. Peter Sellers incarna l’abulico ed analfabeta giardiniere che in modo realisticamente rocambolesco finisce per soddisfare la libido di una ricca signora vicina al presidente degli Stati Uniti. Chance con le sue uniche frasi possibili da cervello ritardato viene scambiato dal presidente (Jack Warden), come dai suoi consiglieri e perfino nei talk tv, come uomo dalla profonda saggezza nascosta dietro a grandi metafore sul mondo del giardinaggio. Che il segreto per diventare presidenti degli Stati Uniti sia quello di Chance?

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