Tra Scilla e Cariddi. È così che a scuola nei testi classici, come l’Odissea o le Metamorfosi, abbiamo imparato a conoscere quella lingua d’acqua tra la Calabria e la Sicilia. E non è un caso che autori come Omero e Ovidio pongano a guardia dello Stretto di Messina due creature mostruose. Segno che non deve proprio trattarsi di una zona tranquilla. “È uno dei punti geodinamicamente più cruciali di tutta la Penisola. Una sorta di snodo tra la Sicilia e l’arco calabro”.

A parlare è Gianluca Valensise. Geologo e sismologo dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), conosce bene quella regione. Sia per ragioni professionali che personali. È, infatti, calabrese originario di Polistena. Autore, insieme alla storica dei terremoti Emanuela Guidoboni, del volume L’Italia dei disastri. Dati e riflessioni sull’impatto degli eventi naturali 1861-2013, ha spiegato a IlFattoquotidiano.it le caratteristiche sismologiche della regione. La stessa in cui da anni diversi presidenti del Consiglio, a un certo punto della loro vita politica, dichiarano di voler costruire un ponte. Come ha fatto, da ultimo, il premier Matteo Renzi, che ha rimesso al centro del dibattito politico la discussione relativa al ponte sullo Stretto di Messina.

Valensise, perché lo Stretto di Messina è una delle regioni più cruciali d’Italia?
Succede molto in questo triangolo: c’è l’Etna, il sistema delle Eolie, e la faglia dello Stretto, responsabile del terremoto di Messina del 1908. È qui che è possibile, infatti, riscontrare una subduzione della placca africana sotto quella indo-europea.

Con quali conseguenze?
Il confine tra Africa ed Europa si è arcuato. Come due macchine che si sono scontrate, e contorte.

Non il posto migliore in cui costruire un ponte…
Uno dei rischi maggiori legati alla realizzazione del ponte è che ci potrebbero essere altre sorgenti sismiche che non riusciamo a cogliere. Ad esempio, delle possibili faglie che ancora non conosciamo del tutto, perché si potrebbero trovare a decine di chilometri di profondità. I terremoti non sono tutti uguali.

Può spiegarci più in dettaglio?
I terremoti come quello di Messina, o quello ad Amatrice o a L’Aquila, sono tutti fratelli. Ma diversi, ad esempio, da quello del Friuli. Si tratta di terremoti estensionali. In pratica, si assiste a un’estensione est-ovest, e a un sollevamento di tutta la catena appenninica e dell’arco calabro. Un sollevamento che si estende in Sicilia, fino ai monti Peloritani, per arrestarsi sull’Etna e le Madonie. È un sollevamento della crosta terrestre, lo stesso che ha creato le montagne. È come se mettessimo una pagnotta in un forno: la conseguenza è che si spacca, s’inarca, si deforma.

E nello Stretto sta avvenendo un fenomeno analogo?
Questo sollevamento toglie spazio al mare e lo dà alla terraferma. Infatti, circa un milione di anni fa l’Italia era un insieme di isole. Gli attuali siti di molte grandi città, ad esempio in Pianura Padana, erano sott’acqua. Senza questo sollevamento, oggi saremmo tutti aggrappati agli Appennini. Mi permetta di aggiungere una battuta.

Prego…
Se aspettiamo un po’ di tempo, il ponte non servirà più. Tempo geologico, ovviamente. Il sollevamento sta, infatti, portando il fondo dello Stretto ad emergere. Tra 200-300 mila anni lo Stretto sarà terraferma. E si potrà camminare senza bisogno del ponte.

Si può quantificare questo sollevamento nell’arco di un anno?
La stima è che il fondale dello Stretto si stia sollevando fino a 2 mm l’anno.

Nei progetti sul ponte si parla di un’infrastruttura capace di resistere a scosse di magnitudo fino a 7,1 gradi Richter
Il dato è settato sul terremoto di Messina del 1908, che aveva quella magnitudo, ed è ragionevole. La magnitudo di progetto 7,1 potrebbe, infatti, essere sufficiente a coprire anche l’eventualità di un terremoto profondo inatteso. Ma il problema, come dicevo prima, è proprio questo. Che, a differenza di altre zone d’Italia, ci potrebbero essere al di sotto dello Stretto altre sorgenti di terremoto che ancora non conosciamo bene. In fondo, anche i giapponesi nel 2011 hanno sbagliato le loro previsioni sui sistemi di subduzione.

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