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Mostra del Cinema di Venezia, la nicchia del progetto Migrarti

Mostra del Cinema di Venezia, la nicchia del progetto Migrarti
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In una 73esima edizione della Mostra del Cinema che passerà alla storia non per qualità ma per la quantità dei film, viene subito da pensare se iniziative collaterali come il progetto Migrarti godranno di una considerazione e selezione migliore di quella presentata quest’anno. Il progetto, finanziato e promosso dal ministero dei Beni culturali, ha visto una selezione composta da 16 cortometraggi provenienti tutti dall’Italia.

Lasciamo stare i numeri per una volta e pensiamo semmai al contenuto delle opere proposte. Molte le storie autoreferenziali sulle singole vite dei migranti, inserite per lo più in un contesto troppo ottimista, ma pochi gli spunti di riflessione sulla loro attuale condizione. A parte qualche rara eccezione, l’impressione generale è che questa prima edizione sia stata un’edizione più promozionale e istituzionale piuttosto che culturale e informativa. I ritratti dei migranti sono sicuramente “strumenti” validi per sensibilizzare il pubblico, ma la loro rappresentazione e considerazione non passa soltanto da un processo estetizzante (per quello basta infatti la tv).

Nella selezione si possono ricordare esperienze come “No Borders” di Haider Rashid, regista italiano di origini irachene, capace di descrivere la realtà del presidio permanente di Ventimiglia e far conoscere gli attori del Centro Baobab di Roma (questo prodotto è stato anche proposto in realtà virtuale con la partecipazione di Elio Germano). Altro cortometraggio interessante nella selezione è stato “Babbo Natale” di Alessandro Valenti, che ricostruisce lo sbarco di due giovani migranti, ma cercando di mettere in relazione chi vive con chi arriva.

Forse l’evento più interessante sulle tematiche di integrazione alla Mostra del Cinema di Venezia è stato “Our War” di Bruno Chiaravallotti, Claudio Jampaglia, Benedetta Argentieri presentato il 9 settembre nella sezione Fuori Concorso. Il documentario racconta le vite di alcuni soldati del YPG, il movimento indipendentista curdo che da solo combatte contro l’ISIS al confine con la Siria. Non un racconto sensazionalistico, ma un archivio privato di testimonianze di alcuni componenti che si sono uniti all’organizzazione appoggiandone gli ideali di libertà. Valido perché affronta aspetti che l’informazione attuale sembra non prendere in considerazione o non rendere pubblici (“l’ISIS è una forza scarsa militarmente”, dichiara uno dei soldati all’interno del film). Il documentario malgrado questo non ha ancora una distribuzione e non si sa se RAI avrà intenzione di trasmetterlo in TV.

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