C’è chi chiede normative stringenti e la definizione di reati ad hoc. Chi, invece, ribadisce che la rete libera è e libera deve rimanere. Gli internet haters e le ondate di rancore in rete sono protagonisti della copertina del settimanale Time, che solo dieci anni fa aveva incoronato il web “personaggio dell’anno” enfatizzando le possibilità delle infinite connessioni del collettivo. Erano gli anni della “saggezza delle folle”, sfumata a causa della discarica di odio fra troll, haters, shitstorm e cyberbullying.

E’ l’aggressività online, ormai, a dominare i dibattiti, ad alterarne la temperatura e l’umore, a innestare polemiche che, spesso, finiscono con la fuga della vittima o, peggio, in tragedia. “Hanno trasformato il web in una fogna di ostilità e violenza. E vedere ciò che stanno facendo al resto di noi è anche peggio”, scrive il giornale. Il termine “troll” – e le pratiche che lo definiscono – non nasce con i social network, ma è attestato in lingua inglese, in tal senso, fin dal 1984. Nasce con la massificazione della rete e con la sua fuoriuscita dal ristretto ambito militare. Si tratta di un soggetto che interagisce con gli altri tramite messaggi provocatori, fuori tema, senza senso, con l’obiettivo di disturbare la comunicazione e alimentare conflitti. E a preoccupare non è solo la crescita quantitativa, quanto la mutazione di intensità delle dinamiche dell’odio in rete.

Il profilo che si credeva “social” della rete, ovvero la sua instantaneità dinamica, si sta mostrando uno straordinario terreno di coltura per odio, rancore, stalking e insocievolezze in genere. Il fenomeno del cosiddetto hate speech, l’odio verbale (ma anche iconico) in rete, non rappresenta solo una forma virtuale di rancore. Ha effetti devastanti sulla vita materiale di milioni di persone che vedono improvvisamente sconosciuti armati di pessime intenzioni irrompere nel loro cerchio vitale sconosciuti e relazionale sconosciuti.

L’integrazione della comunicazione, personale, scolastica e di lavoro, negli smartphone ha accelerato un fenomeno noto agli specialisti da anni. In questo senso, a preoccupare è non solo l’odio, ma anche la sua manifestazione nel doxxing, fenomeno che consiste nella pubblicazione di dati e immagini sensibili o riservate di una persona sui social network. I più esposti a queste forme di aggressività 3.0 sono minori e donne. Ma anche personaggi pubblici e giornalisti: tra i più famosi ci sono il caso di Enrico Mentana, che abbandonò twitter a causa delle offese online, e quello di Higuain, che dopo il suo passaggio dal Napoli alla Juventus ha dovuto chiudere il proprio profilo su Instagram.

Nel frattempo, Scotland Yard ha annunciato di aver istituito l’Online Hate Crime Hub, unità speciale contro i troll e Google Daydreams – l’ultima piattaforma del colosso delle ricerche online – ha avviato esperimenti di tutela e controllo. Si tratta, in quest’ultimo caso, di una forma di autotutela commerciale. Se il commercio online basa gran parte della propria credibilità sulla cosiddetta “user experience”, la presenza di troll su forum, chat e tra i commentatori mina l'”esperienza ottimale dell’utente”. Ma la strada intrapresa sembra senza via d’uscita. Alcune proiezioni si spingono a affermare che, nel giro di pochi anni, la rete sarà popolata unicamente da troll. Ci saranno pornografia e gioco d’azzardo gratuiti per tutti.

Articolo Precedente

Gamescom 2016, dalla fiera del videogioco tutti i titoli più attesi

next
Articolo Successivo

Google ha rilasciato Android 7.0 Nougat: multitasking, realtà virtuale e batteria più performante

next