Per la seconda volta in meno di sette mesi Goose Island, birrificio di Chicago, Illinois, si è visto costretto a risarcire i suoi clienti per una serie di bottiglie dai gusti inaspettati. Una partita di Proprietor’s Bourbon County Brand Stout, oltre ai lotti di nove diverse date di imbottigliamento della Bourbon County Brand Stout, entrambe cotte nel 2015, hanno sviluppato dopo lo stappo inusuali note acidule che niente hanno a che fare con il carattere denso, sontuoso e marcato sul lato morbido tipico dello stile imperial stout. Responsabile dello sviluppo di sentori off in una delle più apprezzate birre al mondo è, dichiarano da Chicago, il Lactobacillus acetotolerans, batterio inoffensivo per l’uomo ma deleterio per lo spettro olfattivo e gustativo della stout. Si sospetta che l’infezione sia occorsa nel trasporto della birra dai locali di invecchiamento in botte allo storico stabilimento di Fulton Street dove invece viene imbottigliata.

Le scuse ufficiali di Goose Island, accompagnate dalle modalità per riavere indietro dai 15 ai 25 dollari spesi per queste due etichette, seguono un analogo episodio avvenuto nelle prime settimane di gennaio. Allora le Bourbon County ad essere colpite dallo stesso Lactobacillus erano state le varianti Coffee Stout e Barleywine. Sin dalla sua prima cotta, questa birra scura maturata in barili di bourbon ha sempre raccolto elogi e riconoscimento: ad oggi la piattaforma di Ratebeer colloca la versione classica alla 18ma posizione nella sua Top50, mentre Beer Advocate distribuisce tre delle sue varianti tra le migliori 100 birre del mondo. Un’etichetta dalla storia consolidata e dalla qualità altissima: sarà facile per i suoi appassionati ritrovare dopo questa tempesta gli aromi avvolgenti di caffè, cereali tostati, vaniglia e cacao legati assieme dalla morbidezza del bourbon rilasciata lentamente dalle fibre del legno delle botti. Sulla reputazione del birrificio c’è invece chi è già pronto a dire, con un sorriso beffardo, che un passo falso simile era inevitabile. Goose Island è stata infatti venduta nel 2011, dopo un ruolo di primo piano nella rivoluzione americana della birra artigianale, ad Anheuser Busch InBev, il gigante della produzione brassicola mondiale. Un affare da poco meno di 40 milioni di dollari e una delle prime incursioni delle corporations nel territorio vergine della craft beer, alla quale negli anni sono seguite ulteriori acquisizioni fino al più recente matrimonio tra AB InBev e SabMiller, o al caso tutto italiano di Birra Del Borgo, una delle più interessanti realtà della produzione artigianale italiana finita nelle fauci del Moloch del malto.

Ecco dunque come una partita sbagliata di una delle migliori birre al mondo può trasformarsi in uno spunto interessante per alimentare di nuova energia la discussione che oppone birra artigianale e industriale. C’è chi darà per definitivamente perduto il coraggio pioneristico dei birrifici protagonisti degli anni ‘80; chi relegherà la ricerca di nuove combinazioni di malto e luppolo che non siano schiave del mercato ma seguano soltanto l’interesse del palato ai soli produttori da garage; chi dirà che di quell’affare che ha aperto la pista ad altre dolorose operazioni importava unicamente allargare a dismisura la produzione delle birre più vendibili, come la “Honker’s Ale” o la “312”. Si potrà rispondere che però proprio le spalle grandi di un colosso come AB InBev, con un fatturato nei primi 6 mesi del 2016 di 20 miliardi di dollari, possono assorbire, senza colpo ferire a stabilità societaria e produzione, un risarcimento di 40mila bottiglie, come è avvenuto lo scorso gennaio, o che le capacità allargate di una grande compagnia hanno le forze di far arrivare un prodotto di nicchia come la BCB Stout in mercati e piazze dove prima era solo immaginata.

John Hall ha fondato Goose Island nel 1988, e con il figlio Greg come mastro birraio ha contribuito a modificare con innovazione e passione il panorama della birra artigianale mondiale, prima di incassare da AB InBev il suo ricco assegno da oltre sei zeri. Sul caso specifico della Bourbon County “inacidita” rimane sul vago, ma condivide le parole che un intervistatore sembra mettergli in bocca sulla vicenda.

Domanda: “I problemi della BCBS ci ricordano soltanto che Goose Island e Fulton Street in particolare [l’impianto dove, tra le altre, l’imperial stout è prodotta, ndR] rimangono nonostante tutto produttori di birra artigianale, semplicemente con proprietari più importanti? C’è insomma ancora spazio per errori e sperimentazioni…”

John Hall: “Non avrei potuto dirlo in modo migliore. È esattamente così”.

Certo, le parole sono di chi ha capitalizzato passione e professionalità e una fetta della storia della nuova produzione di birra di qualità, ma resta pur sempre una prospettiva interessante nella disputa tra mercato e artigianato, all’ombra lunga dei grattacieli degli oligopoli.

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