Migranti ambientali: perché di loro non parla nessuno?
Senza soluzione. Così appare il drammatico problema dei migranti, per il quale si passa dal semplicistico “accogliamoli tutti” all’altrettanto semplicistico “aiutiamoli a casa loro”. Ed il problema è sicuramente destinato a cronicizzarsi ed amplificarsi per via dei cambiamenti climatici. Anche se i mass media non lo dicono, flussi migratori di questo tipo sono già palpabili. Sono i migranti ambientali, altrimenti detti emigranti climatici o eco-profughi, oppure ancora “rifugiati ambientali”, come li definì Lester Brown, fondatore del Worldwatch Institute. Il Parlamento Ue segnala che 17,5 milioni di persone hanno lasciato il loro paese nel 2014, a seguito di catastrofi correlate al clima e che tali migrazioni hanno interessato soprattutto le regioni meridionali (l’Africa subsahariana), che sono oggi quelle maggiormente esposte agli effetti del cambiamento climatico.
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) stima che, entro il 2050, i profughi ambientali potrebbero essere addirittura 200-250 milioni di persone. Ciononostante, manca ancora un riconoscimento giuridico dello status di “profugo” per un migrante ambientale, anche se il predetto parlamento Ue sta valutando tale ipotesi. Ma domandiamoci: quand’anche ai migranti ambientali fosse riconosciuto lo status di profughi, resterà l’insolubile problema a monte. L’uomo ha ormai cambiato il clima e continua a cambiarlo. Qualche dubbio? Guardate il video della Nasa che, in trenta secondi, mostra il surriscaldamento globale dal 1880 al 2015. Ma non ci saranno solo i migranti ambientali. Ci saranno anche coloro che migreranno a causa delle guerre che nasceranno proprio dall’insorgere degli squilibri ambientali. Un esempio fra tutti, il più classico, le guerre dell’acqua.

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