L’accordo fra Mediaset il gruppo francese Vivendi prevede lo scambio del 3,5% delle azioni e la cessione a Vivendi di Mediaset Premium. Entrambe le società hanno guadagnato.

Vivendi, azionista di maggioranza di Tim con il 24,9% del capitale, si espande ulteriormente (solo il 42% del fatturato è ricavato nella madre patria) e grazie ai 2milioni circa di abbonati di Premium arriverà ad avere 13milioni di abbonati sparsi nel mondo. Vivendi ha un giro d’affari pari a 10,8mld€ (contro 3,5mld di Mediaset) ed è presente nel segmento della Tv (Canal+), della produzione audiovisiva (Studio Canal) e in quello della musica (Universal Music).

Per Mediaset il segmento della pay non è riuscito a decollare (559mil€ di ricavi nel 2015), nonostante il notevole esborso per i diritti della Champions (239mil a stagione), manifestazione che non ha determinato lo sperato aumento di abbonati. Sky, il diretto concorrente di Mediaset, ha più del doppio di abbonati (4,8mni contro i 2mni di Premium) e un fatturato pari a 2,7mld. La lunga sfida fra Sky e Mediaset Premium è stata vinta da Sky. Ora Sky si troverà a competere con un avversario, Vivendi, più forte dal punto di vista economico. Entrambi se la dovranno vedere con il terzo agguerrito nuovo player, Netflix.

C’è un perdente nella vicenda, è l’Italia. Un altro pezzo della nostra industria è passato sotto il controllo di gruppi esteri. In tutti i paesi, in particolare proprio in Francia, nota per il suo (anche eccessivo) protezionismo, le autorità pubbliche si adoperano per mantenere il controllo delle proprie aziende, mentre da noi queste vicende sono seguite con fatalistico distacco; anzi c’è chi le considera come segno della forza d’attrazione delle nostre imprese verso gli investitori esteri e non come debolezza del nostro sistema industriale. Una famosa battuta recita che per gli inglesi non è importante (economicamente) la nazionalità di chi vinca il torneo di Wimbledon, ma che il torneo si svolga a Londra; ciò vuol dire che l’importante è che il business sia locale a prescindere dagli attori. Ciò detto è un segno di debolezza il fatto che siano nettamente prevalenti le acquisizioni di gruppi esteri rispetto a quelle fatte dalle nostre società. Fenomeno ancor più preoccupante se si considera che, nella vicenda in questione, si abbia a che fare con una “merce” del tutto particolare, la comunicazione (anche Rcs andrà a un gruppo estero?).

Il dato di fatto è che potrebbero rimanere nazionali solo la Rai e La7: non è certo una bella prospettiva per la valorizzazione della nostra cultura!

Quanto accaduto segnala che per Mediaset sia il primo ridimensionamento dopo decenni di crescita. Liberatasi di un’attività poco redditizia, Mediaset potrà concentrarsi sull’attività da sempre principale, la televisione free. Il gruppo ha ripreso a macinare utili: nel 2015 ha fatto registrare un risultato netto di 111mio. I ricavi sono cresciuti del 3%. È proprio sulla programmazione televisiva che il gruppo manifesta segnali di “rilassamento”. Il palinsesto di Canale5 sembra sorreggersi, estremizzando, solo su Maria De Filippi, mentre Italia1 non sembra più la rete di tendenza, quella apprezzata dai giovani. Troppo poco per una Tv che ha saputo negli anni passati sorprendere. Le fiction, a detta di diversi critici, sono peggiorate, rispetto a quelle targate Rai. L’informazione vive ancora secondo gli schemi politici di qualche anno fa. Le tre reti generaliste Mediaset arrivavano al 35% di share nel 2010, ora sono al 26%; Canale5 è scesa dal 19 al 16%.

Mediaset è cresciuta perché sapeva “far televisione” molto bene al punto che per lunghi periodi è stata la Rai a ricorrerla; deve ora ritrovare quello spirito antico e aggiornarlo all’oggi.

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