Il cartellino giallo sbandierato dall’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni a Tim negli scorsi giorni per il nuovo servizio Prime ha avuto un effetto concreto: l’operatore telefonico ha deciso di sospenderne l’applicazione. Così, dal 10 aprile, nessun cliente Tim si vedrà rimodulato l’offerta mobile ricaricabile di base dei cellulari che prevedeva un piano tariffario di 49 centesimi a settimana. Un cambio che, aveva sottolineato l’Authority, “se attuato avrebbe comportato un aggravio di oltre 2 euro al mese per milioni di utenti del servizio”.
Tim sostiene di aver preso questa decisione con l’obiettivo “primario di mantenere il rapporto di assoluta trasparenza con i propri clienti e di assicurare un confronto aperto, sereno e costruttivo con le Autorità”. Non si tratta, infatti, solo dell’Agcom che ha diffidato la compagnia telefonica a procedere con questa iniziativa. Anche l’Antitrust è scesa in campo e sta ancora valutando se sanzionare Tim nel caso in cui procedesse comunque, magari nelle prossime settimane, con l’attivazione del servizio. Gli addebiti sono vietati dalle norme, ma Tim li ha presentati come una “modifica unilaterale del contratto”. E se l’utente non fa nulla per disdire il servizio entro 30 giorni, perché magari distratto o perché davvero interessato, si tiene i rincari. Tim ha, quindi, ora deciso di fare un passo indietro annunciando la sospensione di Prime.
La partita, tuttavia, non è ancora finita: come ricorda Emmanuela Bertucci dell’Adoc che ha presentato l’esposto all’Antitrust, “Tim non ha fatto altro che emulare Vodafone con il servizio Exclusive, già sanzionato tra l’altro dall’Antitrust con una multa di appena un milione di euro. Ma intanto – sottolinea Bertucci – Vodafone ha già guadagnato 239 milioni di euro e, per il blando provvedimento dell’Autorità, allo stato dei fatti, è garantito che ne guadagnerà tanti altri in più”.
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