Atalanta-Milan in programma oggi a Bergamo, stadio Atleti Azzurri d’Italia è, me lo permettano i tifosi milanisti, una di quelle partite da giocare senza entusiasmi. Vincere per rendere meno lenta una corsa a singhiozzo è meglio, ma pareggiare o perdere non sarebbe una tragedia. Nella bassa stagione rossonera arriva un sussulto nella notte fra sabato e domenica, un pezzo di storia del Milan (e non solo) che di colpo si stacca dal campo di calcio e si staglia nel mito. Cesare Maldini ci lascia a 84 anni e adesso, come ogni “coccodrillo” che si rispetti dovrei cominciare ad elencare i successi da giocatore, le panchine prestigiose, le esperienze sfortunate e quelle vincenti. Potrei, ma sarei uguale a mille altri che, tra wikipedia e le tante biografie parlano di coppe e numeri. Io vorrei partire dal ristorante milanese “Novecento”, ritrovo fisso per il pranzo del sabato.

 

Cesare Maldini, in una intervista per i suoi 80 anni dice che aspettava lì il figlio: “Paolo va a giocare a calcio dalle 11 alle 12 con amici e 3-4 ex compagni di squadra, alla fine mi raggiungono al ristorante” . Paolo è la seconda bandiera rossonera a portare quel cognome, forse ne arriverà una terza ma quel “Novecento” si affianca al nome dei Maldini quasi naturalmente. Una dinastia che in rossonero ha caratterizzato davvero il secolo scorso e raggiunto il nostro partendo da Trieste. Cesare Maldini era nato lì. I primi calci al ricreatorio di Servola (Il Gentili chiamato anche Casa del Balilla) dove “c’era il campo di basket ma noi piazzavamo quattro paletti per fare le porte e giocare a pallone”. Alla Triestina a 17 anni ci fu l’incontro col Paron, Nereo Rocco “Ero intimidito, ovviamente. Mentirei se negassi che è stato l’incontro più importante in campo sportivo. Abbiamo condiviso momenti indimenticabili. Prima dei grandi successi ci sono stati anche momenti di difficoltà. Il peggiore dopo una sconfitta a Firenze. Siamo sul treno del ritorno e il Paron mi fa: “Sai, forse qui non vado bene, non ce la faccio”. Io lo invito ad andare a mangiare insieme, all’arrivo a Milano, e gli dico: “Signor Rocco, guardi che la nostra squadra è fortissima, qui si vince”. Fu così!

Dal Paron al Vecio, stessa pasta, e altri successi, stavolta in azzurro. Di Enzo Bearzot fu secondo allenatore nella spedizione trionfale di Spagna 1982, da C.T, degli “azzurrini” inanellò tre ori europei di fila lanciando tanti talenti del nostro calcio. Avevo promesso di non citare i successi ma è impossibile non farlo quando si parla dei Maldini. I successi e ancor più i riconoscimenti dei tifosi, parlavano e parleranno quelli per lui, personaggio schietto e schivo che ha trasmesso al figlio umiltà e senso di appartenenza. La storia ha riservato poi un distacco amaro dalla “sua” squadra a Paolo, doloroso ma mai come quello attuale. La normalità di questa famiglia è la vera grandezza, al tavolo di un ristorante Cesare avrà atteso il figlio, sia alla vigilia di un big match di Coppa Campioni che dopo una partitella fra amici. Fra chiacchiere, gol, un buon piatto e un bicchiere di vino si è fatto tardi, Cesare è andato via! A Bergamo poi, il lutto al braccio, gli applausi dello stadio, gli sguardi tristi ci saranno. Quando il Milan vorrà ricordarlo nella sua “casa”, a San Siro, la storia passerà davanti agli occhi di chi ha l’età per ricordare Cesarone in campo, chi lo ha apprezzato in panchina e incontrato sugli spalti a tifare per “Paolino”. Un papà buono, un allenatore pacato ma capace di arrabbiarsi, mulinando l’indice e agitandosi scompigliando i capelli con la riga nel mezzo. Al calcio intero mancherà tutto questo, grazie Cesare!

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