Maria De Paola e Davide Infante (Fonte: lavoce.info)

L’incidente dell’autobus in cui hanno perso la vita 13 studentesse ha suscitato una forte emotività nel pubblico e ha messo il programma Erasmus sotto i riflettori dei media. È bene parlarne, evidenziando anche come l’esperienza all’estero migliori le prospettive dei giovani.

I numeri del programma
Il grave incidente dell’autobus in cui il 20 marzo, nei pressi di Barcellona, hanno perso la vita 13 ragazze di sei diverse nazionalità ha portato il programma Erasmus sui titoli di telegiornali e giornali, suscitando una forte emotività tra i giovani e le famiglie. L’Erasmus è uno dei programmi di successo dell’Ue e ha il triplice obiettivo di accrescere la mobilità, di facilitare l’integrazione europea e di favorire le prospettive occupazionali dei giovani. Valutarne gli effetti è complesso. Gli studi esistenti mostrano risultati incoraggianti.

Il programma Erasmus è un programma leader dell’Unione europea che offre agli studenti universitari la possibilità di effettuare un periodo di studio all’estero. Dal suo avvio (nel 1987) il programma ha supportato la mobilità di 3.3 milioni di studenti e di 470.000 docenti. Nell’anno accademico 2013-2014 hanno partecipato al programma 34 paesi (i 28 membri dell’Ue, più Islanda Liechtenstein, Norvegia, Svizzera, Turchia e Macedonia). Nello stesso anno il budget impiegato ha raggiunto i 580 milioni di euro permettendo a 272.000 studenti di trascorrere un periodo di studio o lavoro all’estero.
L’Italia è tra i paesi europei con il maggior numero di studenti in uscita e in entrata: quarto posto (dopo Spagna, Germania e Francia) per numero di studenti in partenza (anno 2013-14) e quinto posto (dopo Spagna, Germania, Francia e Regno Unito) per numero di studenti in arrivo. In ogni caso il sistema universitario italiano utilizza ancora poco questo strumento poiché nell’anno accademico 2012-13 gli studenti universitari italiani in Erasmus costituivano il 7% dei laureati italiani nel medesimo anno.

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La mobilità come forma di educazione
Il successo dell’Erasmus (trasformato in ErasmusPlus nel 2014) è dovuto alla sua forte valenza educativa e sociale. Infatti, la sua finalità non è solo quella di favorire lo studio, l’occupazione e le prospettive reddituali dei giovani e di permettere attraverso un’accresciuta mobilità la creazione di un mercato unico europeo del lavoro, ma anche quella di instillare nelle nuove generazioni un’identità europea e una maggiore apertura alla diversità sociale e culturale. È facile comprendere che il raggiungimento di questi obiettivi permetterebbe grandi benefici sia privati che sociali. Stimare gli effetti prodotti dalla partecipazione al programma è però molto complesso. Gli studenti che decidono di studiare all’estero sono per molti aspetti diversi da quelli che completano l’intero percorso universitario nel paese d’origine. Non solo hanno buoni risultati accademici, ma sono anche più curiosi e sicuri di sé e hanno maggiore capacità decisionale (The Erasmus Impact Study: Regional Analysis – Europa.eu). Le diverse caratteristiche di questi studenti ne possono favorire la mobilità e il successo sul mercato del lavoro, nonché essere alla base di una maggiore identificazione con l’Europa. È evidente quindi che si può concludere ben poco confrontando i risultati (condizione occupazionale e salariale) o le opinioni degli studenti che hanno partecipato al programma con quelli degli studenti che non hanno partecipato affatto (neanche presentando la domanda).

Le valutazioni
Nonostante ciò, molte delle valutazioni effettuate (anche quelle della Commissione europea) sono di questo tipo, mentre gli studi che riescono a stimare in maniera rigorosa gli effetti del programma sono rari. Tra questi un lavoro di Oosterbeek e Webbink (2011) che usa dati relativi all’Olanda e sfrutta le graduatorie di ammissione al programma. Poiché partecipano al programma gli studenti che ottengono un punteggio superiore a una certa soglia è possibile confrontare due gruppi di studenti simili: quelli che hanno ottenuto un punteggio leggermente inferiore alla soglia e quindi non hanno partecipato al programma e quelli che avendo ottenuto un punteggio leggermente superiore alla soglia ne hanno beneficiato. I risultati mostrano che il programma ha avuto un forte effetto positivo sulla probabilità di vivere all’estero. Un altro lavoro di Parey e Waldinger (2011) si basa su dati tedeschi e sfrutta il fatto che il programma Erasmus è stato introdotto in momenti diversi dalle diverse università e dai diversi dipartimenti all’interno di una stessa università. L’analisi mostra che il programma ha aumentato in maniera considerevole (del 15%) la probabilità di lavorare all’estero. Utilizzando una strategia identificativa simile, De Pietro (2015) mostra che aver studiato all’estero aumenta la probabilità di occupazione a tre anni dalla laurea dei giovani italiani di circa 24 punti percentuali e che l’effetto è trainato dagli studenti che provengono da un background familiare svantaggiato.

L’evidenza esistente, anche se scarsa, mostra quindi risultati incoraggianti che fanno ritenere che investire nella mobilità degli studenti possa rappresentare una buona strategia per accrescere l’occupabilità dei laureati, rimettere in moto su scala europea l’ascensore sociale e rafforzare il senso della cittadinanza europea tra le giovani generazioni.

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