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‘Oggetti smarriti’ di Liu Zhenyun: viaggio nella malavita cinese

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Liu Yuejin era svenuto. Era la quarta volta che gli capitava. La prima era stata nel 1960, quando aveva due anni. In Cina non c’era più niente da mangiare e nel suo villaggio era già morta di fame parecchia gente. Liu Yuejin era ancora vivo perché aveva uno zio che andava a rubare nei campi (…) La seconda volta era stata quando aveva beccato sul fatto sua moglie con Li Gengsheng, lo spacciatore di liquori contraffatti, e quello lo aveva anche picchiato. Era svenuto per la rabbia. Poi gli era successo di nuovo alcuni giorni prima, quando Yang Zhi gli aveva detto che il suo marsupio ce l’avevano quelli del Gansu ed era svenuto per l’agitazione. Quella notte, nel capanno delle anatre, era svenuto per le botte.

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Un romanzo pirotecnico, una girandola di colpi di scena, un gigantesco gioco d’azzardo dove nessuno è quello che sembra e nel quale tutti i personaggi coinvolti non fanno altro che cercare di depistare gli altri per qualche tornaconto personale. Si tratta di Oggetti Smarriti, dello scrittore cinese Liu Zhenyun (pubblicato in Italia da Metropoli d’Asia, tradotto da Patrizia Liberati), un romanzo intriso di un sarcasmo feroce, dove i contrasti tra la grande metropoli, Pechino, e i suoi nuovi abitanti, gli emigrati delle zone rurali con il loro bagaglio di cultura antica, risultano uno scoglio gigantesco per la ricerca di una soluzione finale.

Quasi impossibile scrivere una sinossi, dato che a ogni pagina facciamo la conoscenza di nuovi personaggi e che i punti di vista e quello che fino a poco prima l’autore voleva farci credere cambiano improvvisamente con inedite trovate esilaranti. Liu Yuejin, emigrato nella capitale dalla provincia dello Henan, fa il cuoco nella mensa di un cantiere e vive con l’angoscia di non riuscire a mantenere il figlio, un perdigiorno di cui ha voluto l’affidamento dopo che la moglie lo ha abbandonato. Ma Faccia Blu, un ladro di strada, gli ruba il marsupio contenete un pagherò di sessantamila yuan datogli come risarcimento dal nuovo compagno della ex moglie.

Liu Yuejin entra in contatto con l’ambiente della malavita per cercare di individuare il ladro e, una volta trovato, inizia a pedinarlo fino a quando si troverà testimone di un furto in una villa e depositario, suo malgrado, di una borsetta contenente una chiavetta USB al cui interno ci sono immagini che potrebbero distruggere la vita di persone molto importanti e altolocate. E qui il ritmo del romanzo diventa ancora più frenetico. Uomini d’affari, gang criminali, parrucchiere, investigatori privati, venditori ambulanti, donne benestanti sull’orlo di finte crisi di nervi: tutti vogliono la chiavetta, tutti vogliono una ricompensa, tutti vogliono rifarsi una vita.

Una critica spietata e ironica alla Cina contemporanea, ai coinvolgimenti del potere con la malavita, alla disillusione degli antichi valori e alla solitudine endemica che assale i nuovi abitanti di Pechino, incapaci di inseririsi nel nuovo orizzonte capitalista, capace di far sognare pochi e di donare incubi a molti, e nemmeno gratis.

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