Quando arriva la domenica pomeriggio ti chiedi se a combinare i palinsesti della Rai abbia provveduto il conte Ugolino, quello che anziché prendere di piccone e diroccare la prigione, preferiva cibarsi con le carni dei propri stessi figli. Ma non è stato sempre così, perché Ugolini non si nasce e si diventa. L’esordio di Domenica In è del 1976, pare perché (obblighi di austerity fin d’allora, dopo un paio di crisi petrolifere che avevano mandato a gambe all’aria il modello di sviluppo e le connesse idee politiche del dopoguerra) il governo d’allora chiedesse alla Rai di costruire un robusto motivo per trattenere la gente a casa, anziché andare in giro a spendere e spandere, oltre che consumare carburante. Sia realtà o leggenda, cominciò allora, con Corrado alla conduzione, la domenica in casa fra chiacchiere, ospiti e canzoni.

Dieci anni dopo, prendiamo il febbraio del 1987, i primi dati dell’auditel raccontavano che con quel ben fatto minestrone Rai 1 meritava il 40% della platea pomeridiana, mentre Rai 2 seguiva con il 16% e Rai 3 arrancava alla lontana con meno del 2%. Così in totale la Rai concentrava il 58% degli spettatori. Ancora dieci anni dopo accade che in testa agli ascolti di casa Rai fosse passata Rai 3 con Quelli che il calcio al 27%, Domenica In al 24% e Rai 2 col 10%. E alla Rai andava benone, perché riusciva ad arrampicarsi nel complesso ben oltre il 60% di share. Poi è stato tutto uno scendere e oggi Domenica In se la batte attorno al 17%, Rai 2, che nel frattempo ha ereditato Quelli che il calcio, ma senza Fazio e senza calcio, perché ormai le partite si giocano in ogni momento e non sono più concentrate alla domenica pomeriggio, arriva a stento all’8% e Rai 3 sta sotto coperta al 4%. In totale la Rai porta a casa il 29% di share, la metà dei tempi d’oro.

Dove scatta l’effetto Ugolino? Nella circostanza che, pur essendosi di tanto ristretto il pubblico, la Rai metta l’uno contro l’altro due programmi di varietà (che questo sono oggi sia Domenica In sia il Quelli che … per il quale il calcio non è più neanche un pretesto), e cioè di un genere fra i più costosi che ci siano. E non c’è da meravigliarsi che chiusi in queste angustie gli autori di Domenica In abbiano preso a premere fortemente il pedale della cronaca nera e della polemica politica populista, perché chi sta affogando si afferra a tutto, purché galleggi.
Lo stesso fenomeno capita in altre zone del palinsesto Rai, forse perché finora questi sono stati generati più che da un’idea ordinatrice, dal sedimento degli interessi di imprese e di autori figli del tempo che fu. C’è da scommettere che passare dal passato remoto al futuro prossimo non sarà né semplice né indolore.

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