“Il Museo di Villa Doria Pamphilj è chiuso da 16 anni. A quando l’apertura se non per il Giubileo della Misericordia?”. Il comunicato della sezione romana di Italia Nostra è inequivocabile. Dopo un’attesa lunghissima bisogna riaprire le porte dello spazio museale all’interno della villa che “con i suoi 184 ettari di superficie è il più grande parco romano”, diviso dalla via Olimpica.

La storia del primo museo civico romano dedicato ad una villa storica è quella di un ennesimo spreco. “Il Museo, la cui parte centrale è allestita a Villa Vecchia, è suddiviso in sezioni, che illustrano diversi temi sviluppati lungo un percorso cronologico”, si legge sul sito del Comune. Al piano terreno dell’edificio seicentesco, il più antico della villa, le sculture medievali e molti materiali antichi a carattere votivo e funerario, riutilizzati nei punti più importanti dei giardini. Al primo piano i rilievi marmorei antichi e seicenteschi dell’esedra del Giardino del Teatro e poi quelli di fontane e dei ninfei. Ancora i busti degli uomini illustri oltre alle teste, i rilievi e i sarcofagi antichi. Ci sono anche diversi arredi scultorei liberty.

Insomma, un museo territoriale che racconta l’evoluzione di una parte della città scampata all’urbanizzazione. Peccato che sia “Aperto in occasione di eventi espositivi”. In sostanza, sia chiuso alle visite. In maniera ingiustificata dopo l’impegno di più che ingenti fondi statali e comunali. Con il finanziamento del 1995, di più di 1.090 milioni di lire inserito all’interno del programma di Roma Capitale, nel febbraio 1996 partono i lavori di “restauro, consolidamento e risanamento edilizio” dell’edificio. Dovrebbero durare 12 mesi. Non è così. Interventi non previsti nel progetto originario costringono nel 1997 ad integrazioni e a una dilatazione della data di consegna. Nel 1999, nell’ambito del Piano degli interventi per il Giubileo arrivano altri 3,5 miliardi di lire, anche se nella cifra erano compresi anche il restauro delle serre del Giardino dei Cedrati. Insomma s’investe prepotentemente sull’edificio. La sua apertura viene annunciata da una campagna pubblicitaria in grande stile. Con banner dell’evento sui mezzi di linea urbana dell’Atac e numerosi spazi anche sulle radio nazionali.

Ma l’entusiasmo dura poco. La chiusura quasi si confonde con il taglio del nastro. Così inizia la lunga stagione del silenzio. Interrotto, episodicamente, da alcune mostre. Come, tra il maggio e il giugno del 2015, “Stemperando”, l’evento artistico promosso dall’Istituto Nazionale d’Arte Contemporanea. Nel novembre e poi nel dicembre 2014 mostre d’arte contemporanea. In precedenza alcune altre. Ma evidentemente slegate tra loro. Lo spazio museale, chiuso, utilizzato come un semplice contenitore. In mancanza di un progetto nel quale la fruizione non sia un optional. In questi sedici anni di sostanziale vuoto la questione è stata più volte riproposta, denunciando le diverse criticità esistenti. Lo hanno fatto le associazioni. “Invece di pensare a nuovi musei è assurdo tenere chiuso un museo già pronto per l’uso da 13 anni”, scriveva Italia Nostra nel 2013. Richiesta evidentemente inascoltata. “Questo museo chiuso da 16 anni ha visto un suo custode abitare nell’attiguo appartamento per moltissimi anni, altri soggetti e, fin dall’apertura, tre addette alle pulizie quotidianamente impiegate a far non-si-sa-cosa, visto che il museo è chiuso”, scriveva appena pochi giorni fa l’Associazione per Villa Pamphilj sulla sua pagina facebook. “Il complesso architettonico di Villa Vecchia è uno dei più esclusivi della capitale. La storia della famiglia Pamphilj è rinchiusa al suo interno!”, si legge sui social a proposito del Museo. Non è possibile dubitarne. Proprio per questo è un delitto lasciarlo chiuso.

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