onde gravitazionali 675

Alle 11:50, ora europea, del 14 settembre 2015, un leggero, rapido cinguettio lungo un quarto di secondo viene visualizzato sul computer di Marco Drago, uno dei mille scienziati del progetto LIGO, di stanza al Max Plank Institute per la Fisica Gravitazionale ad Hannover, Germania, che sta presidiando l’esperimento. L’analisi dei dati in tempo reale indica che lo stesso segnale è stato registrato da entrambi gli strumenti del LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory). Ci sono voluti quasi cinque mesi per completare le verifiche e annunciare l’osservazione sperimentale delle onde gravitazionali.

Il genio teorico di Albert Einstein propose il modello della Relatività Generale che prevedeva l’esistenza delle onde gravitazionali cento anni fa e cento sono gli anni che sono stati necessari per mettere a punto uno strumento sufficientemente sensibile per rilevare il debole segnale dei volteggi di due buchi neri, molto, molto lontani –circa 400 mega parsec (1,3 miliardi di anni luce)- dalla Terra. Una danza macabra, anzi no, di amore sublime, visto che alla fine si sono fusi insieme. Uno aveva una massa pare a 36 volte il nostro piccolo Sole. L’altro era più piccino, 29 masse solari. Alla fine non ne rimase che uno di buco nero con una massa pari a 62 Soli. Basta fare un semplice calcolo per scoprire che 3 masse solari si sono trasformate in energia sotto forma di onde gravitazionale, appunto.

C’è dell’ironia nell’avere verificato una delle sue previsioni più affascinanti grazie alla danza di due buchi neri che Albert non ha mai creduto potessero esistere. Puoi essere bravo quanto vuoi, ma qualche frescaccia si finisce per dirla… La fusione di due buchi neri è un evento violento, molto violento.

Serve una spiegazione. Per favore, prendete quella che segue come un tentativo molto, troppo, semplice. Immaginate lo spazio-tempo come fosse un enorme foglio di gomma, non troppo spesso, teso su un solido telaio. In condizioni di riposo la superficie è perfettamente piana. Se ci appoggio sopra una biglia di vetro, la deformazione sarà quasi impercepibile. Se ci metto sopra una grande palla di piombo, la deformazione sarà molto più ampia. Immaginate ora questa superficie interessata da due grandi sfere, molto pesanti che si inseguono l’una con l’altra, seguendo una traiettoria a spirale, generando una deformazione sotto forma di un cono sempre più profondo. Mano a mano che scendono accelerano, si avvicinano, generano vibrazioni, onde, onde gravitazionali. Avete in mente le campane tibetane? Sono quelle scodelle su cui si strofina un batacchio e se si effettua il movimento corretto si genera una vibrazione, si sente un suono continuo, armonico, caratteristico della campana stesa. Bene, sostituite le due sfere con due buchi neri –a proposito la teoria dice che i buchi neri assumono la geometria di una sfera perfetta- il foglio di gomma con lo spazio-tempo allora, con molta fantasia, potete farvi un’idea di cosa è accaduto tanto, tanto tempo fa: fra i 600 milioni e il miliardo e ottocentomila anni fa. In tutto questo tempo le onde gravitazionali hanno viaggiato, increspando lo spazio-tempo dell’universo, senza perdere la loro energia e dunque l’informazione raccolta dai LIGO.

Questa storia presenta divertenti analogie con il passato non troppo recente. L’apparato sperimentale che ha consentito di rilevare le onde gravitazionali è molto simile a quello messo a punto da Michelson e Morley nel 1887 per validare la allora condivisa teoria dell’etere. Peccato che dopo avere completato le prove sperimentali, la suddetta teoria risultò invalidata, avviando il percorso di ricerca che ha portato a formulare la teoria della cosiddetta teoria speciale della relatività che si base sui due postulati dell’invarianza delle leggi della fisica in tutti i sistemi inerziali e che la velocità della luce nel vuoto è uguale per tutti gli osservatori, indipendentemente dalla velocità della fonte luminosa. In entrambi gli esperimenti si ha a che fare con degli interferometri. Michelson e Murray usavano un fascio di luce. Il LIGO utilizza il laser che viene diviso così da viaggiare lungo due direzioni perpendicolari in un cilindro sotto vuoto installati in due tunnel sotterranei lunghi quattro chilometri ciascuno. Chiaro?

Allora, si prende un fascio laser. Lo divido in due e faccio viaggiare uno verso Nord e l’altro verso ovest. In ogni braccio di questa croce c’è un particolare dispositivo, la cavità Fabry-Pérot, che immagazzina il fascio e aumenta la lunghezza effettiva del suo percorso di circa 75 volte. Non percorre otto chilometri, ma 150. Quanto più lungo il percorso tanto maggiore la sensibilità dello strumento.

Finito il viaggio di andata e ritorno, ricombiniamo i due fasci. In condizioni “normali” impiegano esattamente lo stesso tempo e il rilevatore, opportunamente disposto, non vede nulla perché i due fasci si cancellano l’uno con l’altro.

Se invece i due percorsi non sono esattamente identici il rilevatore “misura” qualcosa. Ciò che può fare cambiare la lunghezza dei due percorsi è il passaggio di un’onda gravitazionale che deforma la geometria perfetta di questo apparato, comprimendo o stirando la lunghezza del percorso. Parliamo di grandezze pari a una parte su dieci elevato alla ventidue, diecimila miliardesimi di miliardesimo: lo stesso rapporto che c’è fra il diametro di un capello e la distanza fra il Sole e Alpha centauri, la stella a noi più vicina.

Per essere certi che non si tratti di un semplice rumore casuale, evento sempre possibile, si fa uso di due apparati identici, perfettamente sincronizzati, posti in due luoghi molto distanti. Se entrambi registrano la stessa cosa, di forma e durata identica, con il giusto intervallo di tempo – 7 millisecondi per i due strumenti LIGO – uno è sulla costa est, in Louisiana, profondo sud degli Stati Uniti, l’altro è a Harford, stato di Washington, costa ovest, vicino al confine con il Canada, allora tanto casuale non è. Si fa anche uso di trucchi di bassa lega per verificare che tutto funzioni come si deve e che i team siano all’erta come quello usato dai responsabili di progetto, di immettere nel sistema, all’insaputa di tutti, falsi segnali per vedere di nascosto l’effetto che fa.

La prudenza non è mai troppa. Ovviamente più sono gli apparati sperimentali, maggiore è la confidenza su quanto rilevato. Ce ne sono due già in funzione e due in via di definizione. In Italia c’è il VIRGO, dalle parti di Pisa. VIRGO è un’associazione scientifica internazionale, nata nel 1993-1994 da Italia e Francia, cui si sono aggiunti poi Olanda, Polonia e Ungheria. In Germania c’è il GEO600. Peccato che sia il VIRGO che il GEO600 quel fatidico 14 settembre non fossero in funzione. Il che nulla toglie all’importanza del loro contributo alla scoperta. In una miniera giapponese stanno costruendo il KAGRA e un altro LIGO è in progettazione in India. Nella scienza di base si litiga poco, per fortuna. La collaborazione internazionale è la regola del gioco.

Naturalmente, dopo anni, anzi decenni di esistenza conosciuta ai soliti quattro gatti, ora che la scoperta è stata annunciata assisteremo al solito circo delle vanità dei tanti rappresentanti della comunità scientifica, umanistica, amministrativa, politica, di ogni ordine e grado, meglio se elevato, che si attribuiranno i meriti della grande scoperta. Dopo la grande fanfara i soliti quattro gatti di cui sopra si ritroveranno ancora in quattro e sempre a dovere combattere ogni giorno per ottenere qualche soldo per andare avanti perché si è appena aperto un capitolo del tutto nuovo della fisica. Certo, noi italiani brava gente forniamo grandi idee, soluzioni pratiche geniali, ci vogliamo tutti tanto bene, ma continuiamo a dovere andare avanti con le pezze sul di dietro. Basta andare a vedere l’andamento alla riduzione continua dei fondi messi a disposizione dal Governo. Lasciamo perdere, anche perché tutto il mondo è paese. Quando nel 1992 il progetto LIGO venne presentato alla National Science Foundation statunitense per ottenere i fondi necessari, gli oppositori più convinti furono gli astronomi anche se gli interferometri per le onde gravitazionali sentono quello che i telescopi degli astronomi vedono. Pur facendo lo stesso mestiere e avendo un obiettivo comune, pur di difendere il proprio orticello, non hanno provato vergogna alcuna nel cercare di mettere ai “gravitazionali” i bastoni nelle ruote.

Le onde gravitazionali si aggiungono ai raggi gamma e x, alle onde radio, alla radiazione visibile come strumenti della scatola degli attrezzi con cui smontiamo l’universo per capirlo. Comunque sia, la scoperta è stata fatta, il Nobel è in arrivo e le conseguenze sono formidabili. In primo luogo abbiamo l’evidenza che i buchi neri esistono. Fino a ora vedevamo gli effetti di un “qualcosa” che non vedevamo. Ora esistono. Poi abbiamo la conferma che i buchi neri si fondono fra loro.

Poi ancora sono state poste sul piatto una serie di quesiti magnifici: le onde gravitazionali viaggiano alla velocità della luce e quindi esistono i gravitoni a massa nulla, oppure sono più lente e allora i gravitoni hanno massa non nulla? Le stringhe cosmiche generano onde gravitazionali? Esistono stelle a neutroni “rugose”? Perché esplodono le stelle? Prometto che ne parleremo in dettaglio, ora non posso. Ho finito lo spazio.

Stretta è la soglia (non foglia, nda), larga è la via, dite la vostra che io ho detto la mia…

 

Articolo Precedente

Onde gravitazionali, dai sotterranei della fisica alla ribalta mondiale

next
Articolo Successivo

Onde gravitazionali, la nuova sfida: osservare l’universo dopo il Big Bang

next