La persecuzione dei rom e sinti in Italia durante il fascismo è stata per decenni vittima di un profondo disinteresse storiografico. E’ grazie all’impegno tenace di alcuni storici, tra cui spicca la figura di Luca Bravi, che è stato possibile, scavando dalle testimonianze taciute di testimoni diretti e indiretti, ricostruire la trama di una storia segnata da una persecuzione su base etnica che, in tempi e con modalità differenti, ha colpito le comunità rom e sinte presenti in Italia nel ventennio fascista.

Il 27 gennaio 2015, Giornata della Memoria, presso il Senato della Repubblica verrà fatta memoria delle vittime attraverso il racconto biografico di due donne rom che dall’Istria sono state deportate in Sardegna. A questo episodio risale il primo dei quattro periodi che hanno segnato quello che l’intellettuale rom Ian Hancock, docente universitario in Texas, ha battezzato come il “Porrajmos”, il “grande divoramento”, e che alcune comunità rom invece nominano come il “Samudaripen”, ad indicare una morte che ha colpito tutti.

Il primo periodo si può circoscrivere tra il 1922 e il 1938 e risulta segnato da azioni di respingimento ed espulsione inaugurate il 19 febbraio 1926 quando, con una circolare del Ministero degli Interni, viene disposto il respingimento delle carovane entrate nel territorio “anche se muniti di regolare passaporto” e l’espulsione delle carovane soggiornanti di origine straniera. Le famiglie rom, quando incontrate dalla polizia, vengono fermate, condotte presso gli uffici di Pubblica Sicurezza, controllati i loro dati anagrafici, rilevati eventuali precedenti penali, sottoposte alle misurazioni antropometriche. In alcuni episodi si rileva il tentativo di Comuni italiani di evitare di registrare la nascita dei bambini rom nati sul proprio territorio. Nello stesso periodo una circolare di Benito Mussolini allarma per la presenza di ebrei e rom in quanto potenziali spie attive contro lo Stato Nazionale. 

Inizia nel 1938 e termina nel 1942 il secondo periodo del “Porrajmos” segnato da una pulizia etnica alle frontiere. Dal gennaio 1938 inizia la raccolta delle liste dei nomi delle famiglie rom presenti in Istria e il mese successivo avvengono, dal porto di Civitavecchia, i primi trasporti verso il confino in Sardegna. Decine sono i paesi sardi coinvolti, tra le provincie di Nuoro e Sassari. Tra il 1939 e il 1940 tutti gli “zingari” stranieri presenti in Istria vengono deportati in Sardegna. Nel 1940 stessa sorte tocca agli “zingari” intercettati in Trentino Alto Adige.

Nel 1942 parte da Lubiana un convoglio di rom alla volta del campo di concentramento di Tossicia in provincia di Teramo e qualche mese dopo nel campo di concentramento di Gonars giungono famiglie rom provenienti dall’Istria. Il 20 ottobre 1942 viene così completata la pulizia etnica dell’Istria, annunciata dal prefetto Berti.

Un ordine emanato l’11 settembre 1940 dal capo della Polizia inaugura il terzo periodo. Esso comanda: “Fermo restando le disposizioni impartite in precedenza circa respingimenti ed espulsioni di zingari stranieri, si dispone che quelli di nazionalità italiana certa o presunta ancora in circolazione vengano rastrellati nel più breve tempo possibile e concentrati sotto rigorosa vigilanza in località meglio adatte in ciascuna Provincia”.

Quattro sono i destini riservati ai rom e ai sinti e solo pochi riescono a sottrarvisi. Tra il 1940 e il 1943 centinaia di famiglie rom e sinte si nascondono sul Monte Maiella; altri vengono reclusi in luoghi di internamento riservati non solo a rom: Vinchiaturo, Isole Tremiti, Casacalenda; numerosi finiscono in luoghi di internamento riservati agli “zingari”: Agnone (Isernia), Boiano (Campobasso), Tossicia (Teramo), Gonars (Udine), Prignano sulla Secchia (Modena), Berra (Ferrara); per rimanenti non resta che la reclusione nelle carceri.

L’ultimo periodo, il quarto, è caratterizzato dalla “soluzione finale” e si concretizza nella deportazione verso i campi di sterminio. Un triangolo marrone li identifica e per questo, secondo la lingua del lagher vengono denominati i “Brauner” ed la lettera Z precede numero di matricola tatuato sulle loro braccia. Almeno 500.000 rom e sinti in Europa terminano lì la loro esistenza a fianco di ebrei, omosessuali, dissidenti politici, disabili nell’indifferenza di un’Italia che ancora oggi, colpita da un’amnesia collettiva, fatica a riconoscere e a condannare.

Articolo Precedente

Unioni civili, #SvegliaItalia: alla fine l’Italia s’è desta

next
Articolo Successivo

Unioni civili: due piazze armate l’una contro l’altra

next