Palmer Luckey, fondatore di Oculus VR, ideatore di Oculus Rift, ha coraggio da vendere. Non sta semplicemente tentando di riscrivere una storia già vista, quella dello sfortunatissimo Virtual Boy di Nintendo, sperando che il progresso tecnologico basti a cambiarne il finale. Non si è limitato a dare vita ad un’enorme campagna mediatica, efficace al punto di attrarre le attenzioni di Mark Zuckerberg, che ha deciso di congiungere al suo impero, Facebook, le sorti del visore. Non si è accontentato di stuzzicare stampa e sviluppatori pubblicizzando il frutto dei suoi sforzi in ogni occasione possibile. Ha fatto di più: dopo aver rispolverato questa branca dell’home gaming, ne decreta ora il debutto ufficiale, annunciando data di lancio e prezzo della versione finale di Oculus Rift. Non poteva essere altrimenti, del resto, vista la titubanza dei diretti concorrenti, Sony e la joint venture HTC-Valve, e l’ormai snervante attesa che attanagliava i potenziali fruitori.

Facile, col senno di poi, riversarsi sui social network e commentare con ironia, anche con inutile e spocchiosa cattiveria, quello che in molti sospettavano e avevano predetto. Perché le intenzioni iniziali di Palmer circa un prezzo di vendita al pubblico sui 400 dollari erano probabilmente genuine, ma era praticamente impossibile resistere alla tentazione di montare, nel modello definitivo, schermi più avanzati tecnologicamente, che diminuissero al massimo la latenza e aumentassero il refresh rate. Il risultato: includendo nel conteggio spese di spedizioni e tasse, fanno 742€ per il tutto. Il vero problema di Oculus Rift, tuttavia, non dipende direttamente dal suo costo, quanto da come viene percepito. Il visore non è una console, né un sistema multimediale, né tantomeno un PC: è a tutti gli effetti un avveniristico add-on, un plus in grado di migliorare l’esperienza videoludica, ma di cui si può anche fare a meno. La questione va analizzata da due diversi punti di vista.

Il primo, l’utenza. È innegabile che in molti non potranno o non vorranno affrontare una simile spesa. Non bisogna poi dimenticare che per godersi l’esperienza offerta bisogna anche essere in possesso di un PC assai performante. C’è poi chi dopo qualche minuto di utilizzo lamenta fastidiosi mal di testa; chi è titubante all’idea di indossare a lungo un qualcosa che lo estranei completamente dalla realtà fisica; chi, superata l’estasi iniziale, ha ritenuto i benefici in termini di immersione e coinvolgimento tutt’altro che marcati. Il campione di riferimento, attualmente, è ovviamente limitato, ma sul fronte dell’utenza, anche ignorando il fattore costo, di dubbi e perplessità circa il successo del visore ce ne sono molti.

Ma è solo guardando l’altro lato della medaglia che si mette a fuoco il problema maggiore. L’immobilismo degli sviluppatori, solo superficialmente stimolati a investire denaro e tempo per adattare le proprie creazioni al supporto dell’Oculus Rift. Scorrendo la breve lista di giochi che lo supporteranno si resta attoniti di fronte alla quasi totale assenza di esclusive e di titoli di una certa importanza, con feature pensate ad hoc. Si dipinge così uno sconcertante quadro: perché investire una notevole somma di denaro per qualcosa che si potrà usare nel futuro prossimo con pochi titoli, parte dei quali poco più che tech demo?

Palmer Luckey non può però essere messo alla gogna, anche al netto delle sue reazioni infantili via Twitter alle critiche rivoltegli dopo l’annuncio del prezzo; è da apprezzare il coraggio mostrato dalla sua società, intravedendo già da ora i possibili sviluppi che quest’avventura, al di là del suo effettivo successo, apporterà all’intero medium. Forse non siamo ancora pronti per rivivere in prima persona un improbabile remake de Il Tagliaerbe, ma è pur vero che non ci resta che attendere le risposte di Sony e HTC-Valve. Del resto non c’è modo migliore per abbassare i prezzi e favorire l’approdo di prodotti sempre migliori di un po’ di sana concorrenza.

Lorenzo Fazio

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