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No Tav, pg chiede nove anni e mezzo per assalto al cantiere: “Fu terrorismo”

Nel processo d'appello viene di nuovo chiesto di condannare i quattro imputati per attentato con finalità terroristiche. Accusa già caduta in primo grado
No Tav, pg chiede nove anni e mezzo per assalto al cantiere: “Fu terrorismo”
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L’assalto al cantiere della Torino-Lione a Chiomonte del 14 maggio 2013 fu terrorismo. Ne è convinto il procuratore generale del capoluogo piemontese, Marcello Maddalena, che ripropone la pesante accusa – che era caduta in primo grado – nella sua requisitoria durante il processo d’appello contro i quattro anarchici No Tav. Il magistrato ha chiesto alla corte di condannare Niccolò Blasi, Mattia Zanotti, Claudio Alberto e Chiara Zenobi a nove anni e mezzo di reclusione per attentato con finalità terroristiche: “Sarebbe fare loro un torto intellettuale non prenderli sul serio e dare pene da poco”.

“Non è sufficiente il dolo eventuale, ma bisogna parlare di dolo diretto e intenzionale. So benissimo – ha detto il pg – che in questo processo l’accusa parte in salita, a causa delle decisioni della Cassazione e della sentenza di primo grado della Corte d’assise. Sono conscio del clima che si è creato intorno a questa vicenda. Si parla di sabotaggio come se questo fosse una quisquilia, ma quando sento quella parola, istintivamente la colloco in tanti fatti di terrorismo che hanno martoriato il nostro Paese perché il sabotaggio è proprio una delle manifestazioni più tipiche e conosciute di gesti con finalità eversiva. Credo che la minimizzazione derivi dal fatto che in questa vicenda mancano alcune connotazioni classiche, come i colpi di pistola del terrorismo classico”.

Secondo Maddalena, i quattro imputati vanno condannati per terrorismo in quanto “sono persone con un’identità politica, un comitato politico, un rifiuto dei metodi in cui ci si riconosce in questa società”. Inoltre, “pare che non abbiano alcuna intenzione di mettere la parola fine a questa esperienza”. Per questo viene chiesta la condanna a nove anni e mezzo formulata “in relazione alla gravità dei fatti. In uno Stato di diritto – ha sottolineato – non può essere che la violenza di qualcuno possa impedire alle legittime istituzioni di adempiere al loro scopo. La possibilità di indurre i poteri pubblici a compiere una determinata azione o impedirla costituisce una minaccia alla democrazia“.

Maddalena ha argomentato la sua tesi sostenendo che “il danno grave è rappresentato non tanto dai danni economici al cantiere o dalle spese dello Stato per rinforzarne la sicurezza o per la crescente militarizzazione della zona, o ancora dal danno di credibilità per il fatto di non avere rispettato alcune scadenze, ma soprattutto dal pericolo di condizionamento di istituzioni dello Stato ad opera di minoranze violente”.

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