La nomina arriva dopo un lungo braccio di ferro. Il presidente Mario Oliverio che tira da una parte, il ministro della Salute Lorenzin dall’altra e il Pd che pretende di dire la sua. Ne viene fuori una mezza zuffa che dura quattro mesi, nonostante i conti della sanità calabrese esigano con urgenza un commissario. Dal cilindro di Palazzo Chigi esce poi il nome di Massimo Scura. Professione: pensionato. Scura viene richiamato in servizio alla veneranda età di 72 anni, quando da cinque si godeva la meritata pensione che ora arrotonda con un compenso di 174.831 euro l’anno, 478 euro al giorno. E non è certo il solo. Ma dove è finita la rottamazione? E’ finita proprio dove doveva cominciare: nella sanità pubblica, nelle asl, negli ospedali, negli organi costituzionali e nelle università. Insomma, laddove la società gerontocratica dei baroni e dei notabili produce effetti diretti sulla pelle dei cittadini. Lì il ricambio generazionale invocato da Renzi, sul quale il premier ha costruito tanta parte del proprio consenso, non è neppure cominciato.

Come spesso accade in Italia, infatti, fatta una legge – buona o brutta che sia – ci si impegna a sterilizzarne ogni effetto in forza di circolari, eccezioni e distinguo. Così è stato per la riforma Renzi-Madia (n. 90/2014) che vieta alle amministrazioni di conferire incarichi dirigenziali o direttivi a personale in quiescenza al fine di liberare le poltrone occupate dai soliti noti e garantire il rinnovamento degli uffici e il ricambio generazionale. Il testo, va detto, già escludeva in origine gli organi costituzionali e introduceva la scappatoia delle cariche conferite “a titolo gratuito”. Ma non era abbastanza. Così la stessa Madia firma due circolari applicative che estendono ulteriormente la gamma delle “eccezioni”, con particolare attenzione agli incarichi di diretta nomina politica per i quali anche un paletto anagrafico può rappresentare una riduzione dei margini per partiti, correnti e candidati. L’ultima circolare (n. 5/2015carica), è del 10 novembre scorso ed esenta chi è andato in pensione prima del compimento dei 65 anni di età, garantendo così nuove e mirabili opportunità per il futuro ai più “giovani tra i vecchi”. Ma il vero colpo di grazia era arrivato con la n.6/2014 (scarica) che specificava chi concretamente mandare esente dalle restrizioni. Già, quanti?

Il sindacato dei dirigenti tecnici e amministrativi del servizio sanitario nazionale Fedir-Sanità ha sintetizzato i beneficiari in un elenco che sarà indigesto a molti, soprattutto a chi ha creduto alle sirene della rottamazione: pensionati con requisiti inferiori rispetto ai più elevati della singola amministrazione che li conferisce, quelli d’opera professionale che non comportino attività dirigenziali, direttive, di studio e consulenza, quelli di ricerca, compresa la responsabilità purché non comportante la direzione di strutture (salvo quelle temporanee), gli incarichi di docenza, quelli a commissario di concorso e di gara, di partecipazione a organi collegiali e consultivi e comitati tecnico/scientifici. “Un elenco sterminato di eccezioni per il quale viene da chiedersi quale concreto effetto abbiano prodotto le norme del governo in materia di ricambio generazionale”, denuncia il sindacato che ha anche scritto appelli al ministro affinché non desse corso alla sterilizzazione di ogni proposito di svecchiamento. Appelli che sono puntualmente caduti nel vuoto, tanto che a distanza di due anni il fallimento della riforma si può ben rappresentare in un piccolo e non esaustivo “atlante degli intoccabili” che va da un capo all’altro dello Stivale.

Sante Vella, ad esempio, è un ex funzionario dei Vigili del fuoco del Novarese. Quest’anno spegne 60 candeline ed è entrato in quiescenza a maggio. Avvicinandosi al giorno delle pensione si era unito al coro dei colleghi che su La Stampa esprimevano la loro preoccupazione per il comando che si sarebbe ritrovato presto sguarnito di tre funzionari su sette a causa dei pensionamenti anticipati. Come a teatro, però, l’uscita di scena ha spesso un secondo palco per rientrare. Così Vella, incassato il primo assegno previdenziale, era già in rampa per un incarico di responsabile tecnico della sicurezza antincendio dell’AO Maggiore di Novara da 24.741 euro. Deve però attendere qualche mese dalla lettera di incarico perché perfino chi lo ha proposto non sa bene se si possano affidare incarichi professionali ai pensionati. A rispondere, con parere scritto, è il direttore amministrativo dell’Ospedale che fa le valutazioni del caso e poi scrive che sì, la “littera legis” della norma è generica ma la circolare 6/2014 che contiene la sua interpretazione ufficiale non esclude espressamente l’assegnazione di “incarichi libero professionali” al personale in quiescenza (scarica il testo). E quindi sì, il nuovo contratto lo si può conferire senza problemi, anche al vigile pensionato.

Meno visibili sono i beneficiari di incarichi negli organismi interni di vigilanza, nei collegi sindacali, nelle commissioni di gara e concorso. Per citare un esempio si può spendere il nome di Giorgio Carlesi, 70 anni, coordinatore laziale della Società italiana dell’architettura e dell’Ingegneria per la Sanità.  In tanti ancora si affidano alla sua grande esperienza. In ultimo ha fatto parte, ad esempio, della commissione per selezione dei dirigenti apicali del Policlinico Umberto I. Undici giorni di lavoro gli sono valsi 2.750 euro. Meglio era andata due anni fa, quando l’Asl di Rieti lo ha chiamato nella giuria per una gara di forniture biomediche riconoscendogli un compenso di 500 euro a seduta (scarica). Tutto regolare, tutto disciplinato secondo tariffe regionali. La fattura finale sarà di 9.427 euro per 16 giorni di lavoro, quanto un neolaureato spera di poter metter da parte in un anno (ammesso che il lavoro lo trovi).

Più evidenti sono gli arzilli pensionati richiamati in servizio come “commissari straordinari”, figure puntualmente mandate esenti dalla stretta anagrafica proprio in virtù della loro pretesa “straordinarietà” che in realtà poi tale non è, perché si tratta ormai di incarichi per nulla eccezionali, né nel numero né nella durata. Basti pensare al massiccio commissariamento delle Asl e alla lunghissima durata dei periodi commissariali. L’ultimo risale ad appena tre settimane fa. Esempi. A occuparsi dei conti dell’Asl di Frosinone Nicola Zingaretti ha chiamato Luigi Macchitella, classe 1946. Una nomina che arriva a meno di un anno da quella a capo dell’Asl Viterbo e dopo 10 sulla poltrona del S. Camillo, la più grande azienda ospedaliera del Lazio. Non conta che nel 2009 sia stato condannato dalla Corte dei Conti a risarcire a pagare 75 mila euro per una storia di call-center fatto installare nella Asl di Foligno 3 e mai entrato in funzione. Conta solo l’esperienza, garantita anche dal dato anagrafico: quest’anno Macchitella spegnerà 70 candeline.

A luglio è stata la volta di Luciano Grasso, 65 anni, per dieci direttore amministrativo del Galliera di Genova. Aveva dovuto lasciare gli uffici dell’Asl 3 con l’avvento di Burlando e del centrosinistra in Liguria. Ora ha vinto il centrodestra e dopo 10 anni torna negli uffici di via Bertani. Questa volta come commissario perché è in pensione e non poteva essere nominato direttore generale. Il contratto firmato  dura un anno, salvo prevedibili proroghe. Ancora? L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia è in liquidazione da tempo. Il 4 agosto scorso il Ministero della Salute, su indicazione della Regione, chiama a occuparsene Salvatore Seminara, ex dirigente tecnico della Regione Sicilia, 67 anni. A lui si applica “lo stesso trattamento giuridico-economico spettante al direttore generale”, ovvero 144 mila euro l’anno. Accanto al decreto di nomina, alla voce “attuale occupazione” si legge: pensionato.

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