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Nel 2016, se tutto andrà per il verso giusto, la Siae – la Società italiana autori ed editori – chiuderà l’anno con un risicato utile di poco più di un milione di euro.

E’ il peggiore di sempre dal 2011, ovvero dal c.d. “golpe dei ricchi” che – modificando lo Statuto della società e garantendosi il controllo assoluto con l’introduzione del voto per censo in assemblea (un voto a testa più un voto per ogni euro guadagnato, ndr) – ha occupato tutte le poltrone che contano nelle stanze dei bottoni.

E che, alla fine del 2016, ci sarà per davvero un utile è tutt’altro che scontato.

Basti pensare che l’utile di esercizio 2015 dovrebbe aggirarsi attorno ai 2,6 milioni di euro, mentre nel bilancio preventivo la stima era addirittura di 7,3 milioni di euro. Se il bilancio preventivo 2016, pertanto, dovesse rivelarsi inattendibile – in relazione agli utili – come quello 2015, c’è il rischio concreto che la società chiuda il prossimo anno tornando, dopo sei anni sul filo del rasoio, addirittura in passivo.

Risultati che proiettano, almeno, un cono d’ombra sulla “gestione dei miracoli” di Gino Paoli prima e di Filippo Sugar poi, giacché il risanamento e il rinnovamento più volte annunciato sembra davvero lontano a venire. E, d’altra parte, a scorrere il bilancio preventivo 2016 balza immediatamente agli occhi che la cura dimagrante che avrebbe dovuto contenere i costi della società non c’è stata e non ci sarà perché, nel 2016, la Siae spenderà più o meno esattamente quello che spendeva nel 2013 ovvero la cifra monstre di oltre 182,5 milioni di euro.

E anche qui non è neppure detto che, alla fine, non si spenderà di più giacché nel bilancio preventivo 2015 si ipotizzava di contenere i costi di produzione al di sotto del 179 milioni di euro mentre il preconsuntivo 2015 racconta che si è finito con spendere oltre 182, 7 milioni di euro.

E non sono più confortanti le cifre relative agli incassi complessivi per diritti d’autore: il bilancio preventivo 2016 ipotizza che alla fine del prossimo anno la Siae raccoglierà poco più di 570 milioni di euro, ovvero un importo sostanzialmente in linea con quello raccolto nel 2011 (561 milioni di euro). Ma i dati sulla raccolta dei diritti d’autore esposti nel bilancio preventivo 2016 rischiano di essere davvero aleatori.

Nel bilancio preventivo 2015, infatti, gli amministratori della Siae raccontavano di attendersi una raccolta di diritti pari a oltre 587 milioni di euro mentre oggi, i dati relativi al preconsuntivo 2015, dicono che, sfortunatamente, la raccolta dei diritti d’autore, nell’anno che sta per concludersi, si è attestata sui 565 milioni di euro ovvero oltre 20 milioni di euro al di sotto delle aspettative.

Se il rapporto tra previsioni e realtà, nel 2016, dovesse essere in linea con quello registrato nel 2015, significherebbe che la Siae, il prossimo anno raccoglierà meno del 2011, nel pieno della crisi che la nuova gestione avrebbe dovuto risolvere e superare. Se, tuttavia, i problemi della Società italiana autori ed editori stessero tutti in questi numeri ci si potrebbe limitare a scuotere le spalle e prendere atto che negli ultimi anni si è cambiato tutto per non cambiare nulla. Il vero problema, però era, e continuerà ad essere un altro.

La Siae continua – e a leggere il bilancio preventivo 2016 continuerà – a essere una società che nonostante le sue finalità statutarie e i compiti che lo Stato le affida, vive ormai di proventi che nulla hanno a che vedere con il diritto d’autore e di operazioni immobiliari e finanziarie. Anche nel 2016, infatti, la società incasserà oltre 60 milioni di euro di proventi completamente estranei alla gestione dei diritti d’autore; nel bilancio preventivo 2015 erano 44 milioni. Sempre meno diritti d’autore, sempre più proventi di fonte diversa.

Ma non basta. Il bilancio preventivo 2016, infatti, racconta che la Siae ha appena costituito – o si avvia a costituire – il Fondo Pentagramma, un nuovo Fondo che va ad aggiungersi a quelli Norma e Aida, nei quali è già stato fatto confluire la più parte del patrimonio immobiliare della società e nei quali – sempre a leggere il bilancio preventivo – sono stati fatti confluire ulteriori immobili.

Dal nuovo Fondo – sulla cui natura nulla di più si dice nel bilancio preventivo – nel 2016, la Siae si aspetta di ricavare, non è chiaro come, circa 7 milioni di euro che, inutile dirlo, non c’entrano davvero nulla con i diritti pur essendo, evidentemente, il risultato di proventi conseguiti intermediando quelli di decine di migliaia di autori ed editori italiani.

Il risultato perseguito con la moltiplicazione dei Fondi è evidente: la società continua a spostare ricchezza lontano dagli sguardi indiscreti degli iscritti e delle Autorità di vigilanza che, tuttavia, sarebbe ora intervenissero a richiamarla all’ordine imponendole – come, peraltro, tra una manciata di mesi le imporrà la disciplina europea – di concentrarsi sulla gestione dei diritti, lasciando a chi lo fa per mestiere investimenti, fondi e speculazioni di ogni genere.

Per il resto il bilancio preventivo 2016 riserva davvero poche sorprese salvo un paio, una di metodo e una di merito, che lasciano perplessi almeno quanto ciò che si è scritto sin qui.

Quella di metodo è che una società che da anni si professa sulla strada della trasparenza abbia scelto – per la prima volta nella sua storia – di sopprimere dal bilancio preventivo la colonna relativa all’ultimo consuntivo approvato (quello 2014) e di esporre esclusivamente i dati relativi al preconsuntivo 2015, seguiti, peraltro, da una tragicomica avvertenza secondo la quale “I dati preconsuntivi 2015 costituiscono stime preliminari suscettibili di modifiche, anche sensibili, in funzione dell’andamento gestionale dell’ultimo periodo dell’esercizio e delle scelte del vertice aziendale di indirizzare le risorse disponibili su progetti ed iniziative di valenza strategica”. Evidentemente esporre anche i dati del bilancio relativo all’ultimo esercizio chiuso, avrebbe reso troppo facile percepire l’assenza di qualsivoglia reale miglioramento nei conti e nella gestione e il permanere di una serie di preoccupanti segnali di un futuro assai poco roseo.

Venendo al merito, lascia davvero di stucco la circostanza che gli amministratori di una società di intermediazione dei diritti d’autore, alla vigilia dell’entrata in vigore di una nuova disciplina europea della materia che cambierà molto nel mercato nel quale la società opera, non abbiano avvertito neppure l’esigenza di dedicare una parola ai possibili effetti ed impatti su conti, prospettive e risultati attesi.

Sin qui i numeri e i fatti. La parola ora passa a Governo e Parlamento, che nelle prossime settimane dovranno intervenire sulla disciplina dell’intermediazione dei diritti d’autore per recepire le nuove regole europee e, potrebbero finalmente farsi carico di garantire che i diritti degli autori ed editori italiani – tutti e non solo quelli più ricchi e fortunati – siano intermediati e gestiti nel modo più efficiente possibile.

 

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