Polizia ungherese al confine serbo effettua controlli su rifugiati e migranti

La crisi dei rifugiati, l’esodo da regioni ormai politicamente destabilizzate, viene visto esclusivamente come una tragedia umanitaria, tralasciando gli aspetti politici. Si badi bene, si tratta di una tragedia umanitaria, ma anche la crisi del debito sovrano scoppiata nel 2010 presentava alcune delle caratteristiche che contraddistinguono questo fenomeno. Tuttavia è stata gestita come un fenomeno esclusivamente politico. Per chi non è d’accordo con questa analisi basta ricordare l’impossibilità di acquistare farmaci all’estero da parte degli ospedali e delle farmacie greche, l’epidemia dei suicidi, la disoccupazione oltre il 50 per cento, la contrazione del 25 per cento del Pil nel giro di meno tre anni. Ai greci che sprofondavano nella povertà noi europei non abbiamo offerto nessun appoggio umanitario né mostrato alcuna comprensione.

Se vogliamo tracciare un parallelo tra la crisi dei migranti e quella della Grecia, entrambi eventi straordinari, la prima cosa che balza agli occhi è il ruolo diametralmente opposto che l’Europa Unita ha giocato. Nel caso della Grecia Bruxelles ha dichiarato che le regole erano intoccabili mentre per i rifugiati e i migranti queste sono state ignorate e persino abolite, con qualche eccezione ad esempio l’Ungheria. Da mesi chiunque arriva alle porte d’Europa o entra: senza documenti, senza visti, con passaporti falsi e spesso con l’aiuto delle istituzioni, dalla polizia e delle autorità locali delle nazioni confinanti.

L’Europa che ha gestito la crisi del debito sovrano non ha nulla a che spartire con quella attuale. La prima era un’istituzione rigida, teutonica, che non ammetteva alcuna variazione dal copione politico, economico e burocratico. I trattati siglati dagli stati membri erano come la bibbia, non si toccavano, oggi quello di Dublino viene regolarmente ignorato dalla stessa Germania. L’Europa che ha gestito la crisi greca era anche un organismo punitivo, solo pochi mesi fa la Bce vietò l’accesso ai fondi d’emergenza del quantitative easing ad Atene se questa non aderiva pienamente alle condizioni imposte. Quella che accoglie i profughi assomiglia ad un’istituzione caritatevole.

Ma stiamo attenti, né la prima versione ne quella attuale rappresentano realtà politiche vere, nessuna delle due incarna la vera natura dell’Ue. Al contrario, questi comportamenti “estremi” denotano una debolezza di fondo, una mancanza d’identità, che la crisi dei migranti sta mettendo meglio a nudo di quella greca. Oggi l’Europa Unita appare come un’istituzione senza regole e senza coordinamento, dove una nazione, la Germania, decide di offrire asilo a 800 mila siriani e un’altra, l’Ungheria, reputa tale decisione incorretta e costruisce un bel muro per bloccare il flusso dei migranti verso la Germania. Di fronte a tale decisione, Angela Merkel, la Cancelliera di ferro che fece chiudere le banche a Cipro e in Grecia, è rimasta zitta. Ma anche Bruxelles, che ogni volta che i greci chiedevano una dilazione dei pagamenti tuonava insieme alla Troika, non ha fatto nulla. Ma non basta, la Merkel è corsa ad Ankara dove si è detta disposta ad appoggiare la candidatura della Turchia nell’Unione europea in cambio di aiuto al fine di bloccare il fiume in piena dei rifugiati siriani.

Facile chiudere i rubinetti monetari alla Grecia e ricattarne governo e popolazione quando questi sono nelle mani della Banca centrale europea grazie all’unione monetaria, facile mandare la Troika ad Atene a dettar legge quando chi stampa i soldi è a Francoforte. Impossibile invece bloccare l’esodo dei siriani perché Bruxelles non controlla la politica estera dei paesi membri, né quella interna. Ecco perché Angela è andata a mendicare aiuti in Turchia, nazione che solo pochi anni fa la stessa Cancelliera non ha voluto nell’Unione.

L’ironia della sorte vuole che l’esodo dei rifugiati passi proprio per la Grecia e che questa sia ben felice di lasciar scorrere al suo interno un fiume umano che sale verso la Germania ed i paesi scandinavi. Un viaggio della speranza che i greci non hanno intrapreso, ma neppure gli spagnoli o i portoghesi o gli irlandesi e gli italiani disoccupati dopo il 2010 lo hanno fatto, da queste nazioni deficitarie la massa non si è mossa verso le economie più solide. Certo, i profughi siriani fuggono dalla guerra, dai bombardamenti, molti hanno perso tutto mentre gli abitanti della periferia dell’Unione non si sono trovati in condizioni analoghe. Tuttavia, se è vero che la decisione di aprire le frontiere ai profughi è legata a motivi economici, alla necessità di attirare forza lavoro giovane in nazioni come la Germania, dove la crescita demografica è negativa, allora perché dalla Spagna, dove la disoccupazione è al 53 per cento, i giovani non sono emigrati in massa verso in Germania?

La risposta è complessa ma se vogliamo semplificarla ai profughi viene offerto aiuto economico per raggiungere e stabilirsi nei paesi europei. Esiste una vasta nebulosa di associazioni private e pubbliche, specialmente nel nord Europa, che li aiuta a sopravvivere, a integrarsi, a imparare la lingua e a trovare un lavoro, almeno inizialmente. Perché si tratta di una tragedia umanitaria. Questo sistema per l’emigrazione europea non è mai esistito. Non sono stati stanziati fondi per facilitare le migrazioni interne.

Forse il motivo vero per cui la Germania ha aperto le frontiere ai profughi non è economico ma politico: la possibilità di cavalcare la tigre della tragedia umana per mostrare all’elettorato e all’Europa un volto diverso, più umano, più simpatico, più popolare di quello che abbiamo visto dal 2010. Bruxelles e i suoi euro-burocrati, come sempre seguono come fedeli cagnolini la padrona, la Cancelliera. Non hanno né potere decisionale in materia né un’idea precisa di cosa fare.

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