“Al momento non è possibile presumere una conclusione positiva del processo di revisione del programma” di aiuti alla Grecia. Lo ha scritto la Banca Centrale europea in una nota che annuncia come il consiglio direttivo abbia deciso di rimuovere la deroga, introdotta nel 2010 proprio, che consentiva alle banche greche di approvvigionarsi di liquidità fornendo come garanzia i propri titoli di Stato, nonostante il loro merito di credito (rating) ai minimi termini. Di fatto, quindi, Francoforte ha chiuso il rubinetto della liquidità alle banche greche già esauste per la continua fuga di depositi iniziata a fine 2013 quando sono state annunciate le elezioni anticipate. La decisione del direttivo è arrivata nello stesso giorno in cui il presidente della Bce, Mario Draghi, aveva incontrato il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis che aveva definito il colloquio “fruttuoso”. La stretta partirà quasi immediatamente: le nuove regole saranno applicate tra una settimana, a partire dall’11 febbraio.

Al centro della discussione c’era stato appunto il tema più urgente per Atene, quello delle banche appese al filo della liquidità d’emergenza (ELA) che la Bce, del tutto discrezionalmente, aveva continuato a fornire. Secondo le attese il consiglio direttivo di oggi avrebbe dovuto concedere altre due settimane di ossigeno agli istituti ellenici. Ma i livelli sono più che di guardia: i fondi che sostengono le quattro maggiori banche greche sarebbero addirittura vicini alla cinquantina di miliardi di euro e la National Bank avrebbe chiesto oltre 10 miliardi aggiuntivi. Nel direttivo deve dunque aver prevalso la linea del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, che suggeriva di chiudere il rubinetto nonostante le “conseguenze pesanti” e che, dopo la sconfitta sul piano di acquisti di titoli di Stato da parte di Francoforte (quantitative easing), non ha evidentemente arretrato di un passo.

Del resto, secondo quanto trapelato in giornata, anche Draghi stesso avrebbe chiarito a Varoufakis  “il mandato della Bce e chiesto al nuovo governo di confrontarsi velocemente e in maniera costruttiva con l’Eurogruppo per mantenere la stabilità finanziaria” e avrebbe rigettato la proposta del ministro di trasformare il credito della Bce verso Atene in bond perpetui perché vietato dai trattati. Ragionamento analogo circa l’ipotesi che Francoforte sostenga Atene versandole i profitti guadagnati sui bond greci: la restituzione è prevista ma passa per le banche centrali e i tesori nazionali. Intanto però le banche greche stanno facendo i conti con i depositi in rapida uscita e ora le possibilità di un rifornimento con nuove emissioni di debito si avvicinano allo zero dopo che già mercoledì la domanda di titoli greci in asta è precipitata ai minimi dal 2006.

Il rinnovo dei finanziamenti di Francoforte era vincolato alla firma di un nuovo programma di aiuti, ma evidentemente il direttivo ha già deciso che non sarà possibile trovare un accordo. Se quindi da qui a fine mese non ci dovesse essere un riavvicinamento delle parti, rischia seriamente di concretizzarsi lo scenario paventato da Goldman Sachs a fine 2014. La banca d’affari americana, stimando che Atene nel 2015 avrebbe avuto bisogno di entrate extra comprese tra 6 e 15 miliardi di euro per far fronte ai propri impegni, sosteneva appunto che il maggior rischio per il Paese sarebbe stata l’interruzione dei finanziamenti alle banche locali da parte della Bce e degli altri creditori internazionali. Una situazione che riporta la memoria indietro al marzo del 2013, quando i bancomat ciprioti rimasero per giorni senza contante, per poi erogare solo 200 euro per ogni cliente. La questione venne chiusa con l’intervento della Troika che, con un memorandum ad hoc, fornì un prestito alla bad bank (la Laikì bank) ma a condizione del prelievo forzoso da tutti i conti e con lo spettacolare arrivo del denaro in un volo cargo proveniente dalla Germania.

La decisione della Bce arriva in un momento cruciale per la Grecia, con gli elettori che hanno scelto lo scorso mese il governo guidato da Syriza, che ha minacciato di abbandonare il programma di salvataggio della troika. La Germania, così come l’Unione Europea e la Bce, non sarebbe contenta – riporta il Financial Times – della decisione del premier greco, Alexis Tsipras, di lasciare finire il programma di salvataggio alla fine del mese e preferirebbe almeno un’estensione “tecnica” per concedere alle parti spazio per trattare un nuovo salvataggio. Secondo diversi analisti, la decisione della Bce “mostra le difficoltà delle trattative” e il rigettare i bond greci come collaterali sarebbe “un tentativo per costringere trattative più rapide fra Syriza e la Germania” mettono in evidenza altri. Il ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis, incontrerà nelle prossime ore il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schauble. Il quale parlerà a nome di Angela Merkel (la cancelliera ha deciso di non incontrare il nuovo premier greco) e ribadirà al collega greco che la Atene deve attenersi all’esistente programma di salvataggio. Poi, il dossier Grecia sarà al centro dell’Eurogruppo della prossima settimana a Bruxelles, giusto alla vigilia del Consiglio Ue del 12 febbraio.

La Bce si muove d’anticipo, quindi, e, in una sorta di deja vu della crisi cipriota dove aveva egualmente stretto i rubinetti alle banche, invia un segnale di durezza ad Atene: uno stop alle riforme e ai progressi fatti sul risanamento di bilancio sarà costosissimo. Proprio oggi l’agenzia Bloomberg scrive che, se non rinnoverà il suo programma per una nuova linea di credito, la Grecia rischia di non poter far fronte ai suoi pagamenti il 25 marzo: sarebbe l’quivalente di un default.

La notizia ha gelato Wall Street, che chiude debole bruciando nel finale i guadagni. Una decisione che appesantisce l’euro, sceso a 1,1364 dollari. La moneta unica cala per la prima volta in tre giorni, complice anche il dollaro che recupera in attesa dei dati sulla disoccupazione.

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