Dopo il resoconto della prima eccoci alla seconda serata del Premio Tenco, aperta questa volta dall’orchestra sinfonica di Sanremo, diretta per la gucciniana occasione da Vince Tempera. Vengono eseguite “Radici“, “Canzone quasi d’amore” e “Cirano“, cercando di comprendere tutto il range contenutistico del festeggiato. Impresa semplicemente impossibile in tre pezzi, ma la cosa è di grande impatto e molto coinvolgente. Una parola in più va spesa per la cantante Vanessa Tagliabue Yorke: non un gesto fuori posto, non una inflessione, una anticipazione o un ritardo insignificanti. Standing ovation (letteralmente) e inizio col botto.

Il secondo artista a salire sul palco è stato Bobo Rondelli, divertente e profondo a un tempo, guitto e chansonnier che riesce a cantare cose pesanti anche come macigni, ma sapendo dosare presentazioni dissacranti e ciarpame: al secondo brano, un piano e voce dal titolo “Nara F.“, dedicato alla madre venuta a mancare non molto tempo fa, l’intero Teatro Ariston pendeva dalle sue labbra. Non credo ci siano altre parole da dire. Se non per citare il tributo a Guccini: “L’avvelenata“.

È stato poi il turno del Premio Tenco “i suoni della canzone“, che quest’anno è andato a uno dei migliori chitarristi d’autore italiani: Armando Corsi, capace di leggere l’anima dei brani dei più grandi cantautori (uno su tutti, Ivano Fossati), non solo impreziosendoli ma completandone la scrittura. Un vero punto di riferimento. E si è così arrivati alla Targa Tenco per il miglior album dell’anno a Mauro Ermanno Giovanardi per il disco “Il mio stile”. Premettendo che Giovanardi ha una delle voci più belle ed emozionanti d’Italia, purtroppo sì è avuta la sensazione che che le canzoni del disco (pur fatte bene e cantate anche meglio), in studio come dal vivo risultino sinceramente dimenticabili. Così come non è stata memorabile la sua versione di “Dio è morto“. Non è di certo scandaloso che abbia vinto la Targa più importante, ma dall’autore di un disco che si è meritato un riconoscimento tanto ambito ci si aspetterebbe qualcosa di più sostanzioso.

A questo punto si è passati al Premio Tenco per il miglior artista, andato quest’anno alla cantante inglese Jacqui McShee, che sul palco parte volteggiando in un brano tra pianoforte finemente arpeggiato è un soffice tappeto di percussioni. Poi un canto tradizionale inglese, seguito da canzoni di natura molto diversa. C’è stata così la conferma che la tendenza del Premio Tenco agli artisti stranieri segue la strada dell’omaggio a quei generi della popolare music dai quali la canzone italiana d’autore – che oggi è qualcosa dalla forma trasversale – attinge e deriva storicamente.

Poi è stata la volta di una specie di sorpresa. Sul palco è infatti salito Leonardo Pieraccioni, fan sfegatato di Guccini, in versione cantautore. O quasi, perché sedendosi con la chitarra, prima di iniziare a cantare si è prodigato in un corposo grappolo di freddure, eseguendo poi canzoni “short“, comunque dai testi tutt’altro che scontati, ma che avevano come il ruolo di sketch tra una serie di battute e l’altra. Certo, molto della piacevolezza quasi sorprendente suscitata dalle canzoni derivava dall’ostentata mancanza di pretese e dalle basse aspettative, ma è stata comunque una gradevole sorpresa. Di Guccini, Pieraccioni ha cantato “Venezia“, davvero con grande emozione e trasporto, tra gli accordi, i simboli e la dimessa disperazione di un gioiello di canzone.

Carmen Consoli
Foto di Mauro Vigorosi

Ha chiuso la serata Carmen Consoli. Salita sul palco è partita subito con “Il vecchio e il bambino“, chitarra e voce, per poi scatenare il distorsore sull’ultimissimo verso, quasi a marcare il distacco tra quella esibizione e il trio completamente al femminile che avrebbe accompagnato il pubblico dell’Ariston verso la conclusione della serata. Chitarra, basso e batteria in veste rock duro prima col brano “Geisha“, svisando sul metal con una voce sempre più cosciente di sé e multicolore, poi con “Mio zio“. Da qui, prima di concludere con “AAA cercasi” – molto dura come un pugno nello stomaco, che parla dell’offesa alla femminilità come sistema consueto – ha cantato due brani tratti dall’ultimo disco “L’abitudine di tornare, finalista alle Targhe 2015: “Sintonia imperfetta” ed “Esercito silente“. E la mente è andata all’incontro della mattina con la cantautrice, in cui nella sede del Club Tenco, nell’intervista coi giornalisti, si è parlato di tutti gli anni passati dal precedente lavoro di inediti. E si è ripetuto ciò che dovrebbe essere normale: questo tipo di brani ha bisogno di tempo, di necessità (e voglia) di scrittura. La canzone d’autore che vale il palco del Tenco funziona così.

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