Il Parlamento imbarazzato da gesti sessisti e canzoncine in diretta tv riapre la seduta per discutere della riforma costituzionale del Senato. Dopo che l’ufficio di presidenza si è riunito per decidere le sanzioni per i verdiniani Barani e D’Anna, l’Aula ha approvato l’articolo 6. Disinnescato l’emendamento a voto segreto della Lega Nord: la maggioranza ha resistito con 55 voti di scarto (mancavano 6 parlamentari della maggioranza). Disinnescato anche il “gambero”, il nuovo tentativo di ostruzionismo del leghista Roberto Calderoli.

Ma mentre il voto sulle riforme prosegue senza particolari rallentamenti, è ancora tempo di polemiche dentro il Partito democratico. Se solo poche ore fa l’ex berlusconiano e ora leader del gruppo Ala Denis Verdini canzonava la minoranza Pd intonando un motivetto di sberleffo, a reagire è stato l’ex segretario Pier Luigi Bersani: “Non mi preoccupo di Verdini e compagnia”, ha scritto su Facebook, “ma del Pd e delle politiche di governo. Sembra che valori, ideali e programmi di centrosinistra si sviliscano in trasformismi, giochi di potere e canzoncine”. Gli ha risposto poco dopo il vicesegretario Pd Lorenzo Guerini: “Non credo sia utile che ogni settimana, anche da parte di Bersani, si costruisca una nuova polemica. Il rispetto per il Pd è anche non aprire ogni giorno un fronte interno e non alimentare tensioni che non servono a nessuno”.

L’ex regista del patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi continua a essere un problema per i democratici. Sabato 3 ottobre il presidente del Consiglio in un’intervista a Repubblica ha detto che Verdini “non è il mostro di Lochness“. Una frase che la minoranza ha ancora una volta mal digerito: “Basta amoreggiare con lui”, ha detto Roberto Speranza. Ora tocca a Bersani: “Bisogna rendere più chiaro dove si stia andando, senza cortine fumogene, giochi di parole e battute assolutorie”. “Sembra, e non da oggi, che ci sia una circolazione extracorporea rispetto al Pd e alla maggioranza di governo. Tanta nostra gente pensa che sia ora di rendere più chiaro dove si stia andando. Anch’io la penso così”.

Il Senato, dopo l’ufficio di presidenza che ha deciso le sanzioni per la seduta di venerdì 2 ottobre, ha ripreso l’esame del ddl riforme. Il dibattito è ripartito dall’articolo 6 relativo allo Statuto delle opposizioni. Il presidente Pietro Grasso ha ammesso il voto segreto sull’emendamento Calderoli 6.910 relativo alle minoranze linguistiche. Il governo, con il ministro Maria Elena Boschi, ha espresso parere contrario a tutti gli emendamenti, ma sul quello del senatore leghista si è rimesso all’Aula. La maggioranza ha aumentato lo spread con le opposizioni: se in occasione del primo voto segreto la differenza fu di 44 voti, oggi si è attestata su 55 voti (considerando che i due astenuti si aggiungono ai 160 contrari). Alla votazione tra l’altro mancavano all’appello i due senatori di Ala sospesi dai lavori, e quattro senatori Pd più due Ncd assenti giustificati. L’aula del Senato ha poi approvato l’articolo 6 del testo di riforma costituzionale con 163 voti favorevoli, 85 contrari e 3 astenuti.

Disinnescato il ‘gambero’, il nuovo tentativo di ostruzionismo annunciato dal senatore della Lega Nord, Roberto Calderoli. Il leghista ha chiesto di trasformare uno a uno i propri emendamenti in ordini del giorno (oppure ne annuncia il ritiro), per non porli in votazione. In questo modo, non essendo gli emendamenti respinti dall’assemblea non possono decadere quelli successivi con l’effetto immediato del cosiddetto ‘canguro’. Una nuova tecnica, dopo i milioni di emendamenti presentati nei giorni scorsi, a cui il presidente Pietro Grasso ha risposto citando il regolamento. “È il presidente che può acconsentire alla trasformazione in odg” oppure “al ritiro degli emendamenti”. E ha quindi fermato il cosiddetto ‘gambero’.

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