Se l’obiettivo della prossima legge di stabilità è potenziare la crescita, il governo dovrebbe approvare alcune misure non finanziarie che favoriscano un più efficiente processo di spesa degli investimenti pubblici. Nel nostro Paese problematiche diverse rispetto alle altre economie avanzate.

di Claudio Virno (Fonte: lavoce.info)

Come migliorare la qualità degli investimenti

Recenti studi del Fondo monetario internazionale (se ne riportano qui due) e della Banca mondiale hanno mostrato che gli effetti degli investimenti pubblici sul prodotto sono positivi e aumentano in funzione della loro qualità ed efficienza.

Ma è facile incrementare la qualità degli investimenti? E soprattutto: qualcuno si dedica a questo obiettivo?
La risposta alla prima domanda è che occorrono tempo e risorse per migliorare la gestione degli investimenti pubblici e che è necessario un vero è proprio “investimento” per migliorare le pratiche gestionali nei tre principali stadi del ciclo di investimenti: a) programmazione; b) allocazione delle risorse; c) realizzazione dei progetti. È anche necessario sottoporre a valutazione la gestione degli investimenti con strumenti diagnostici in grado di individuare deficienze e lacune. Il Fondo monetario ha utilizzato uno strumento denominato Pima (Public Investment Management Assessment) articolato in quindici variabili (suddivise in 45 indicatori) per effettuare questo tipo di valutazione applicata poi a venticinque Paesi.

Tra le variabili si distinguono le regole fiscali, l’esistenza di piani settoriali e nazionali, le problematiche di bilancio, la valutazione e la selezione dei progetti e altri aspetti rilevanti relativi, tra l’altro, alla realizzazione degli investimenti. I risultati a cui giunge lo studio per i Paesi avanzati mostrano valori elevati degli indicatori della gestione degli investimenti pubblici (che appare in genere legata ai livelli del reddito dei paesi), mentre buona parte dei problemi si concentrano sul coordinamento tra livelli di governo e sulla predisposizione di bilanci pluriennali.

L’Italia rappresenta però una eccezione in quanto sono largamente presenti quei fenomeni di bassa efficienza propri dei Paesi emergenti o a basso sviluppo: a) influenza politica nella selezione dei progetti; b) ritardi nella progettazione e nel completamento dei progetti; c) pratiche corruttive; d) incremento dei costi rispetto alle previsioni; e) progetti incompleti; f) scarsa qualità delle infrastrutture realizzate; g) problematiche nella fase operativa delle infrastrutture realizzate.
La qualità degli investimenti pubblici è dunque “il” problema nel caso italiano.

I problemi italiani

Una riforma del sistema degli investimenti pubblici in Italia dovrebbe quindi partire da una rilevazione dei principali indicatori utilizzati a livello internazionale per verificare le procedure e l’“ambiente istituzionale” associato alla gestione degli investimenti, ossia le variabili-chiave che ne determinano la qualità e l’efficienza. Un secondo passo dovrebbe consistere nell’individuare le migliori pratiche di riferimento per ciascuna variabile considerata (che consentono valori più elevati degli indicatori considerati) e che siano compatibili con le capacità amministrative attuali o con un realistico potenziamento delle stesse. Dovrebbero essere considerate degli obiettivi da raggiungere con una certa progressività e dato un orizzonte temporale prestabilito.

Infine, dovrebbe essere varato un nuovo assetto normativo relativo alla gestione degli investimenti pubblici, incluse nuove strutture per le attività di valutazione, assistenza e monitoraggio di progetti e programmi in sostituzione di quelle esistenti ma non adeguate. Sul secondo quesito (qualcuno si sta occupando di queste innovazioni?) la risposta appare oggi negativa. Tuttavia, vi sono segnali in controtendenza. Ad esempio, il piano Juncker richiede una elevata qualità nella gestione degli investimenti pubblici per ottenere l’accesso alle risorse disponibili.

Uno studio effettuato per conto dell’Ufficio parlamentare del bilancio tende appunto a dimostrare la necessità di una urgente riforma del sistema degli investimenti pubblici italiani come effetto dell’impostazione del piano Juncker (si veda Petrina e Virno, Il Piano di investimento europeo come strumento di razionalizzazione dei processi decisionali e di diffusione della valutazione economica a livello nazionale, luglio 2015).

Anche la stessa richiesta di avvalerci della clausola di flessibilità degli investimenti richiede un incremento di efficienza nell’uso dei fondi strutturali e pertanto, anche in questo caso, di riforme nette e radicali nei campi della programmazione, valutazione, selezione e implementazione di piani e progetti. Davanti a una maggiore flessibilità concessa dall’Europa, dobbiamo dimostrare che le procedure di spesa per investimenti sono credibili ed efficienti. Ma, soprattutto, per puntare a una maggiore crescita occorre aggiungere all’agenda delle riforme quella relativa alla gestione del sistema degli investimenti pubblici.

*Claudio Virno si è laureato in Economia e Commercio all’Università “la Sapienza” di Roma e in seguito ha proseguito gli studi di finanza pubblica usufruendo di varie borse di studio e contratti di ricerca. Ha collaborato con numerosi centri di ricerca e ha svolto incarichi di insegnamento presso l’Università Bocconi di Milano. E’ stato componente del Nucleo di valutazione degli investimenti pubblici del Ministero del bilancio (poi, dell’economia). Attualmente è consulente di enti pubblici e privati (tra cui, Confindustria e la Presidenza della Repubblica). I suoi interessi di ricerca riguardano principalmente la spesa pubblica, i programmi di sviluppo, la valutazione degli investimenti e le problematiche connesse al bilancio dello Stato.

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