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Deforestazione: il nostro sviluppo uccide i popoli indigeni

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È di questi giorni una raccolta firme in rete per sostenere la liberazione di Armand Marozafy, una guida eco-turistica ed attivista ambientale del Madagascar, accusato di avere diffamato due tour operator locali trafficanti nel commercio di legno di palissandro. Sentenza sfavorevole e condanna a sei mesi di carcere ed al risarcimento di danni per 4.000 euro.

Il governo del Madagascar ha proibito il taglio, il commercio e l’esportazione del legno di palissandro (valore 22.000 euro al mc), ma questo pare solo un atteggiamento di facciata. Infatti, nonostante il divieto, dal 2010 sono arrivati nella Cina dei nuovi ricchi 25.365 mc derivanti dal taglio di ben 200.000 alberi. E se ti ribelli al commercio rischi di finire nelle patrie galere come Marozafy.

Ma, tutto sommato, a questo attivista è andata ancora bene, perché è vivo. Se ti metti di traverso contro la deforestazione, rischi la vita. Il primo settembre di quest’anno sono stati assassinati con armi da fuoco quattro leader del gruppo etnico degli Ashéninka che si battevano contro il disboscamento illegale dell’Amazzonia. Si chiamavano Edwin Chota, Jorge Ríos Pérez, Leoncio Quinticima Melendez e Francisco Pinedo, e sono stati uccisi durante un viaggio che avevano intrapreso per incontrare altri leader indigeni in Brasile. Nel maggio sempre di quest’anno tre leader indigeni che si opponevano anch’essi alla deforestazione, Eusébio Ka’apor, Adenilson Tupinambá e Gilmar Tumbalalá sono stati assassinati.

I loro nomi si aggiungono a quelli di tanti altri sconosciuti indigeni delle foreste massacrati dal nostro sviluppo. Leggete l’esemplare articolo on-line dello scrittore Mauro Villone, che parla della strage del popolo Guarani – Kaiowá, su cui insiste un assordante silenzio dei media.

Nessuno ricorderà i loro nomi, e rimarranno sconosciuti i nomi degli assassini, diversamente da quanto accadde per Chico Mendes, eroe delle lotte indigene. Ma siamo sicuri di essere, noi, immuni da colpe? Siamo sicuri di non alimentare in qualche modo quello sviluppo che uccide, se lo ritiene utile o necessario? Siamo sicuri che per noi non valga la frase di De André: “per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti”?

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