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Migranti, due storie di integrazione che hanno reso la mia vita migliore

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Mani amicizia

George era un omone alto, tratti somatici tipici dell’est Europa, ricurvo a leggere dei fogli scarabocchiati che teneva tra le mani. Passeggiava visibilmente preoccupato avanti e indietro davanti alla Questura. Ogni tanto rallentava il passo, si fermava e fissava verso l’ingresso come se aspettasse qualcuno.

Lo osservavo dalla terrazza, mentre fumavo una sigaretta. George aveva trascorso tutta la mattina in quel punto e, per esperienza, mi era ormai abbastanza chiaro che quel qualcuno che aspettava George avesse avuto qualche problema con la giustizia. Ero in studio perché stavo aspettando Marius, un cliente. Marius è un giovane romeno affetto da nanismo che si era rivolto a me per problemi di deambulazione legati ad alcuni interventi chirurgici agli arti (forse) non eseguiti correttamente.

Fatto sta, che quando il mio cliente si presentò alla porta riconobbi immediatamente la sagoma dell’uomo che lo sovrastava.
Marius e George si conoscevano già da tempo. George era un cittadino moldavo che aveva ottenuto regolarmente il passaporto romeno. Da qualche anno lavorava come muratore in un’impresa edile. Marius aveva incrociato George davanti alla Questura. George gli aveva spiegato che stava aspettando dall’alba il figlio Anatoly.

Anatoly era stato fermato durante un controllo nella notte, purtroppo non aveva con sé il suo passaporto romeno (nel 2007 la Romania entrò in Comunità Europea) e la polizia lo aveva arrestato perché il suo nominativo nell’Afis (Automated Fingerprint Identification System) lo segnalava come cittadino extracomunitario già espulso.

Era il periodo in cui i processi per direttissima per violazione della “Bossi – Fini” riuscivano ad intasare le aule del tribunale quasi tutta la settimana.
Destino volle che quel giorno facessi la conoscenza di George grazie all’interesse di Marius per la sorte del figlio dell’amico. Il processo andò bene, non per merito mio, ma perché potemmo produrre il passaporto romeno di Anatoly e dimostrare la sua doppia cittadinanza. Anatoly passò una sola notte in cella, ma quando George lo poté riabbracciare fu molto commovente.

George si ritenne fortunato per aver conosciuto me e invece io, che più di tanto non avevo fatto, scoprii con il tempo di essere stato più fortunato di lui.
Da quell’agosto del 2009 George, sapendo che stavo ristrutturando in economia il mio appartamento, per dimostrare la sua gratitudine, si offrì di aiutarmi. Nonostante le mie resistenze una sabato mattina, ancora in piena estate, me lo ritrovai sotto casa con la tuta da muratore e gli attrezzi del mestiere. L’appartamento riuscii a finirlo in breve tempo grazie a George. Non c’erano sabato e domenica che lui saltava.

Sono passati ormai sei anni da quando ho conosciuto George. Un uomo di grande bontà d’animo e generoso. Lontano anni luce dal falso stereotipo dello straniero che viene in Italia per fare rapine, violentare o nella migliore (pur falsa) ipotesi rubare il lavoro agli italiani.

George è uno dei tanti cittadini stranieri che vivono e lavorano onestamente in Italia e che sono per il nostro Paese una grande risorsa. E c’è di più, c’è che George è anche un mio grande amico.

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