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Torino, iniettava insulina nella flebo del figlio. Infermiera condannata a sette anni

La donna, dichiarata semi inferma di mente perchè affetta dalla sindrome di Munchausen, per attirare l'attenzione avrebbe provocato al proprio bambino uno stato di malessere perenne
Torino, iniettava insulina nella flebo del figlio. Infermiera condannata a sette anni
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Ha iniettato per mesi insulina al figlio di 4 anni, rischiando di avvelenarlo. La donna, 43enne torinese che si trova in una struttura psichiatrica, è stata condannata a sette anni di reclusione con rito abbreviato.

La vicenda risale all’estate del 2014: l’infermiera dell’ospedale Regina Margherita di Torino, incastrata dalle telecamere mentre somministra la sostanza al bambino, viene arrestata con l’accusa di tentato omicidio. Lei nega: “Non ho mai dato insulina a mio figlio, stavamo seguendo una terapia, un tentativo di aiutarlo a superare il suo stato di debilitazione, non ho mai voluto fargli del male, di certo da tempo non sta bene, non ho mai perso la speranza di farlo tornare un bambino sano”, aveva detto durante gli interrogatori.

La donna avrebbe provocato un artificiale stato di torpore e di apparente sofferenza al figlio inserendo nel flacone della flebo monodosi di insulina e altre sostanze, tutte in quantitativi minimi, per creargli una specie di malessere teleguidato con cura e precisione.

Il 21 settembre 2015 il gup Gianni Macchioni ha recepito la linea dell’accusa che le imputa il reato di tentato omicidio, me ha accolto la richiesta della difesa di dichiarare la donna semi inferma di mente. Infatti, secondo le perizie psichiatriche, soffrirebbe della sindrome di Munchausen per procura, un disturbo mentale che l’avrebbe portata ad danneggiare il figlio per attirare l’attenzione su di sé, una sorta di sfida ai medici per costringerli a dedicare tutte le loro energie al bambino.

“Non siamo per nulla soddisfatti di questa sentenza, faremo ricorso in appello” – ha detto Salvo Lo Greco, legale dell’infermiera – “Dal nostro punto di vista non c’è mai stata volontà di uccidere il bambino da parte della nostra cliente. Avremmo auspicato al massimo una condanna per lesioni, tanto più che ora si sta facendo curare”. L’accusa, sostenuta dal pm Patrizia Gambardella, aveva chiesto una pena di 12 anni, escludendo anche le attenuanti.

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