Sono sul treno. Torno a Roma dopo dodici giorni trascorsi al Lido di Venezia. Sono trentaquattro anni che vengo al Festival, ma questa è la prima volta che ci sono stato dall’inizio alla fine. La mia carrozza è semivuota. Un ragazzo e una ragazza indiana si tengono per mano. Lei ha i piedi nudi appoggiati sul sedile di fronte a sé. Lui è più composto. Sono belli. Una fila più in là ci sono un padre e un figlio di circa vent’anni. Sono romani. Il padre ha una faccia simpatica. Il figlio non lo riesco a vedere. Purtroppo lo sento, perché a voce alta inveisce contro l’indiana, ché ha i piedi sul sedile, senza però avere il coraggio di affrontarla. Meglio mettersi la cuffia e ascoltare la musica. La mia musica. Quella antica, per cui tutti mi prendono in giro.

Cosa mi porto dentro di questo Festival appena finito?

I piacevoli giorni trascorsi nella stessa casa con i miei otto allievi del primo anno del Centro Sperimentale di Cinematografia. Ciascuno a suo modo, sono belle persone, che stanno inseguendo il loro sogno, in maniera però concreta.

Il dolore composto di un amore che si spezza perché non sa gestire una perdita devastante nel film cileno La memoria del agua di Matias Bize.

Elena Radonicich che canta “Se t’amo t’amo” in Banat di Adriano Valerio. E quel finale semplice, già visto tante volte, ma emozionante come gran parte del film.

La torta al cioccolato della piccola pasticceria a quattro passi dal Casinò.

Il sorriso di Vincenzo Marra alla fine della proiezione del suo La prima luce, un film sofferto, per il tempo che ci è voluto a farlo, per la storia che racconta. Elegante, ben recitato, onesto.

Gli occhi neri che brillano dalla felicità di esserci di Lorenzo Berghella, il giovanissimo regista di Bangland, film di animazione per certi versi miracoloso.

Guillermo Francella grande interprete del buon film argentino El clan di Pablo Trapero.

Le tante chiacchiere inutili, i tanti “prendiamoci un caffé” a me che il caffé non lo prendo, i tanti panini, i tanti chilometri percorsi ad inseguire i film da una sala all’altra.

Franco Maresco che non delude mai.

La bella selezione della Settimana della Critica e l’intelligente lavoro delle Giornate degli Autori che hanno regalato tanti bei film e un interessante confronto sul rapporto cinema e teatro con mezz’ora di parole in libertà di Pippo Delbono.

Charlie Kaufman che ancora una volta stupisce.

Jerzi Skolimowski che gioca a fare il giovincello.

E il ragazzo del treno intanto non ha ancora finito di lagnarsi: dovrebbero fare una multa di trentacinque euro a chi si toglie le scarpe. Mi alzo. Lo voglio vedere in faccia. Lo guardo negli occhi. Li abbassa. Forse ha capito. Finalmente smette. Ma solo perché a Firenze l’indiana scende.

Mi rimetto le cuffie. Ascolto L’evoluzione del Banco del Mutuo Soccorso. Ad occhi chiusi.

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