L’Italia maglia nera d’Europa per l’evasione Iva ora incassa anche una sonora bocciatura da parte della Corte di giustizia Ue sulla prescrizione nei casi di frode grave sul pagamento dell’imposta sul valore aggiunto. I giudici del Lussemburgo hanno stabilito che la normativa italiana impedisce di punire adeguatamente i colpevoli perché i termini di estinzione del reato sono troppo brevi. Il che “potrebbe ledere gli interessi finanziari dell’Ue” violando l’articolo 325 del trattato sul funzionamento dell’Unione, che impone agli Stati di coordinare l’azione diretta a tutelare l’Unione stessa contro le frodi. Da ora in poi quindi il giudice italiano dovrà, “all’occorrenza”, “disapplicare le norme sulla prescrizione controverse”. Nei fatti, la sentenza spinge le toghe a ricorrere in tutti i casi dubbi alla Corte costituzionale chiedendo se applicare la normativa italiana o bypassarla in nome degli interessi di Bruxelles, che vigila sui bilanci dei Paesi membri e quindi tiene a che il gettito fiscale sia il più alto possibile. Cosa che non avviene nella Penisola, dove in base agli ultimi dati della Commissione l’ammanco rispetto agli incassi Iva previsti è ammontato nel 2013 a 47,5 miliardi di euro.

La replica ai giudici del Lussemburgo è arrivata dal viceministro della giustizia Enrico Costa: “I processi lumaca generano prescrizioni. Le prescrizioni lunghe generano processi lumaca. I processi rapidi impediscono le prescrizioni”.

La Corte di giustizia Ue si è pronunciata su richiesta del Tribunale di Cuneo nell’ambito di un caso di frode Iva sullo champagne del valore di alcuni milioni di euro. I sette imputati sono accusati di aver costituito e organizzato tra il 2005 e il 2009 un’associazione per delinquere nell’ambito della quale hanno attuato ‘frodi carosello‘ sull’Iva. In pratica usavano società create ad hoc e documentazione falsa per acquistare bottiglie in regime di esenzione dall’Iva, consentendo alla loro azienda di acquistarle a prezzo inferiore a quello di mercato. Peccato che una parte dei reati contestati si sia già estinta per effetto della prescrizione, mentre gli altri risulteranno prescritti al più tardi l’8 febbraio 2018, senza che possa essere pronunciata una sentenza definitiva vista la complessità delle indagini e della lunghezza del procedimento.

Una situazione, rileva la Corte, “non inconsueta in Italia” a causa della “peculiarità del diritto italiano” che alla data dei fatti “permetteva una proroga del termine di prescrizione di solo un quarto della sua durata, termine insufficiente per ottenere una sentenza definitiva in Cassazione”. Ne consegue che persone sospettate di aver commesso una frode per vari milioni di euro “potranno beneficiare di un’impunità di fatto dovuta allo scadere del termine”.

Il Tribunale di Cuneo, investito del procedimento, ha chiesto alla Corte se a causa della tagliola della prescrizione il diritto italiano non abbia creato una nuova possibilità di esenzione dall’Iva non prevista dal diritto dell’Unione. La Corte ha risposto sì, stabilendo appunto che in futuro “il giudice italiano dovrà verificare se il diritto italiano consente di sanzionare in modo effettivo e dissuasivo i casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione” e di “dare piena efficacia all’articolo 325”, anche “disapplicando, all’occorrenza, le norme sulla prescrizione controverse”.

Non è la prima volta che dalla Ue arriva un richiamo all’Italia su questo tema: l’anno scorso il Rapporto anticorruzione della Commissione ha messo in luce che la nuova legge italiana sulla corruzione “lascia irrisolti vari problemi” perché “non modifica la disciplina della prescrizione”. A maggio si era trovato un accordo nella maggioranza per avviare un tavolo tecnico che rivedesse la disciplina sull’allungamento dei termini per gli illeciti penali tipici dei colletti bianchi e dei politici. Ma a giugno l’iter del ddl Ferranti sulla “prescrizione lunga”, approvato alla Camera a marzo, si è impantanato in Senato.

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