“Credevano fossimo un fuoco di paglia. Ma il Movimento è di sana e robusta costituzione”. E’ Lugi Di Maio, vicepresidente della Camera e membro del direttorio a girare le televisioni della maratona elettorale per raccontare i 5 Stelle del dopo voto. Seconda forza sul territorio nazionale, i grillini mancano ancora il risultato da bandiera, ma resistono e si confermano nella più difficile delle competizioni: le elezioni Regionali. “Siamo forza di governo e pronti a sfidare Renzi, mi viene da pensare che ora cambieranno l’Italicum“, dice quello che già molti vedono come candidato presidente del Consiglio. La nuova legge elettorale con il ballottaggio e il premio alla lista dà la certezza che in futuro tutto può succedere. Fa paura il centrodestra che unito spazza via anche i grillini (vedi il 10 per cento da brividi dei 5 Stelle in Veneto). Ma per questa volta la forza dei Meetup, quella storicamente di molta piazza e poco apparato, si aggrappa ai portavoce nazionali e si stabilizza sul territorio. Vince la linea del no alle alleanze e sì all’opposizione perpetua, vincono il tour delle televisioni e le comparsate nei talk show.

C’è poco Beppe Grillo nei risultati dei 5 stelle (quasi mai in campagna elettorale) e tanto Gianroberto Casaleggio che ha pianificato nei dettagli la strategia. C’è anche l’amarezza: per l’astensione che ancora una volta è il vero problema per i grillini e per le due Regioni che avrebbero potuto fare la differenza. Sfugge la Liguria quando ormai sembrava che gli altri partiti avessero fatto tutti i regali possibili, sfugge la Campania dove impresentabili e polemiche avevano fatto sperare per il meglio. I 5 stelle però reggono il colpo e, come ormai hanno imparato a fare, pensano al prossimo voto. Non è più tempo del Maalox di Grillo che dopo le Europee si presentò in diretta blog per fare mea culpa di aver sognato troppo. Le istituzioni hanno imparato a conoscerle e sanno che bisogna rosicchiarne pezzo per pezzo. “Adesso puntiamo al governo del Paese”, ha detto Di Maio. Sì perché l’Italicum è la grande chance M5S. La certezza ora è che strategia che vince non si cambia: quindi no alle alleanze, sì all’opposizione perpetua, no alle polemiche interne, no al parlare di sé, sì alla discussione sulle misure concrete (reddito di cittadinanza in primis), sì a meno Grillo, sì a più parlamentari fuori dal Parlamento, sì alle agorà. E soprattutto si alla televisione: girare i talk show e i programmi di informazione ha fatto la differenza. “Pensate che andare da Vespa mi abbia fatto piacere?”, ha detto Grillo nell’ultimo comizio a Genova. Quello è stato il vero Maalox da ingoiare, ma ha già dato i primi risultati.

Questa volta insomma i 5 stelle si fanno trovare pronti dal conto dei voti. Sono lontane le Europee del “Vinciamo noi“, quelle in cui si poteva portare a casa tutto o niente senza vie di mezzo. “E’ un momento storico”, ha detto la candidata in Liguria Alice Salvatore (24,85 per cento). Entrano in sette consigli regionali, là dove prima erano inesistenti. La ricercatrice ed ex candidata per le Europee era il volto pulito che piaceva ai delusi di tutto a Genova e provincia. Ma non ce l’ha fatta: raggiante dopo gli exit poll che la davano quasi al 30 per cento, era già pronta a promettere un governo di minoranza: “Non ci alleeremo con nessuno, ma faremo accordi sui contenuti”. In Campania Valeria Ciarambino, allenata da Di Maio in persona, arriva al 17,86 per cento: non basta il regalo dell’Antimafia che sul fotofinish dichiara De Luca impresentabile e non bastano nemmeno i malumori per Caldoro. In Puglia sono secondi (Antonella Laricchia ottiene il 18,17 per cento) dietro al governatore Pd Michele Emiliano che ha già promesso l’assessorato all’Ambiente: i 5 Stelle di fino a ieri non possono accettare la poltrona e mettersi a governare con i democratici. Brucia il veneto: Jacopo Berti prende un 11,82 per cento che impallidisce davanti allo sfondamento della Lega Nord. Lì nessuno si aspettava troppo, ma gli elettori del Carroccio è gente che i grillini li ha sempre almeno ascoltati e si puntava a qualcosa di più. La Toscana di Giannarelli si ferma al 15,05 per cento. Solo un anno fa Filippo Nogarin (tra l’altro latitante in campagna elettorale) decantava la presa di Livorno, la roccaforte rossa espugnata. Oggi si fermano al terzo posto. I 5 Stelle sono poi stati risucchiati nello scontro tra centrodestra e centrosinistra in Umbria: Andrea Liberati ottiene il 14,03 per cento. Si confermano invece nelle Marche dove Maggi piace e prende il 21,78 per cento.

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