Ho provato a simulare l’atto di un accoltellamento. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11… Sono già stanca. Quel su e giù con il braccio è un atto che in preda ad un raptus non so se venga in maniera meccanica perché se provaste anche voi a simularlo vi accorgereste di quanta energia ci vuole a fare il solo gesto, figuriamoci ad affondare una lama in un corpo.

Eppure ieri mattina i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Perugia hanno dato seguito alla sentenza della Cassazione escludendo l’aggravante della crudeltà nell’omicidio di Melania Rea. La domanda sorge spontanea: un uomo che trucida la propria moglie con 35 coltellate non è crudele? Cosa è la crudeltà per la giustizia italiana? Se le coltellate fossero state 50 sarebbe cambiato qualcosa? Rimango basita davanti a questo sconto di pena sia per la motivazione sia per aver creato un precedente.

“E’ duro ricominciare, ma lo faremo con la consapevolezza che l’assassino resterà per un po’ di anni in carcere. Potremo ricominciare, anche se lo dico tra virgolette, una nuova vita. Siamo un po’ più sereni, ma la nostra battaglia non è finita qui”, dichiara il padre di Melania Rea dopo la sentenza.

Da un lato indubbiamente la soddisfazione del non aver concesso a Parolisi le attenuanti generiche, dall’altro l’amarezza della riduzione della pena da 30 a 20 anni per aver escluso l’aggravante della crudeltà. Perché in Italia uccidere una persona con 35 coltellate non è un atto crudele. Probabilmente lo chiameranno “amore malato“, o ancora “gesto disperato“, o ancora “raptus”, ma che non vi salti in mente di chiamarlo atto crudele.

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