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Obesità, studio Usa su neuroni. “Senso fame innato, ma possibile alterarlo”

Gli scienziati americani hanno scoperto i responsabili dell’irrefrenabile senso di fame che spesso ci assale. Tutta colpa di un gruppo di cellule del cervello denominate “Agrp” . “Quello che sospettiamo - spiega Scott Sternson, che coordina il team - è che questi neuroni agiscano come un antico sistema motivazionale che ci forza a soddisfare i nostri bisogni fisiologici”
Obesità, studio Usa su neuroni. “Senso fame innato, ma possibile alterarlo”
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Cedere alla tentazione del cibo, allo stimolo della fame, è un istinto naturale. Un retaggio evolutivo vecchio di migliaia di anni. Risale al nostro passato di cacciatori-raccoglitori, quando procurarsi da mangiare significava avventurarsi in ambienti ostili, spesso a rischio della vita ed era, pertanto, necessaria una spinta motivazionale in più proveniente dallo stesso organismo. Non è un alibi per fare uno strappo alla regola quando si sta seguendo una dieta, ma il risultato di uno studio appena pubblicato su Nature dai ricercatori dell’Howard Hughes medical institute di Chevy Chase, negli Usa.

Gli scienziati americani hanno scoperto i responsabili dell’irrefrenabile senso di fame che spesso ci assale. Tutta colpa di un gruppo di cellule del cervello denominate “Agrp” (agouti-related-peptide). “Quello che sospettiamo – spiega Scott Sternson, che coordina il team Usa – è che questi neuroni agiscano come un antico sistema motivazionale che ci forza a soddisfare i nostri bisogni fisiologici”. Il team di Sternson ha individuato anche un altro gruppo di cellule cerebrali, battezzate neuroni “Sfo”, responsabili invece della sensazione della sete.

Grazie a esperimenti condotti sui topolini di laboratorio, gli studiosi Usa hanno scoperto che i neuroni della fame agiscono a livello dell’ipotalamo – una sorta di cervello nel cervello – come un vero e proprio interruttore che, oltre ad accendersi da solo, può anche spegnersi, in risposta a uno stimolo esterno. I ricercatori, fornendo ai topolini alcuni gel al sapore di frutta, hanno sperimentato come i neuroni Agrp spingano il corpo a rispondere ai segnali sensoriali relativi alla presenza di cibo, dimostrando, inoltre, che la loro attività cessa solo quando la richiesta di cibo è soddisfatta.

Un secondo studio, condotto da un team di ricercatori Usa dell’Harvard Medical School di Boston e pubblicato su Nature Neuroscience, ha, invece, individuato il circuito nervoso controllato dagli stessi neuroni analizzati dal gruppo di Sternson, capace d’inibire e controllare lo stimolo della fame. Ed ecco la buona notizia. I ricercatori ipotizzano la possibilità d’invertire il meccanismo on-off di questi neuroni, facendo diventare in qualche modo il cibo meno appetibile ai nostri occhi. Gli studiosi lo hanno fatto in topolini geneticamente modificati, manipolando i neuroni della fame per riprogrammarli in modalità spegnimento.

“Uno dei motivi per cui fare una dieta è così difficile – chiarisce Bradford Lowell, coautore dello studio su Nature Neuroscience – è la fastidiosa sensazione causata dalla fame. I nostri risultati dimostrano che l’attivazione artificiale di questo particolare circuito nervoso può ridurre il bisogno di mangiare, ottenendo in pratica lo stesso effetto di una dieta, ma senza soffrire il senso di fame”. “Nonostante questi topi – aggiunge Alastain Garfield, coordinatore del team – avessero mangiato una quantità di calorie sufficiente per un giorno intero, e fossero quindi sazi, quando abbiamo disattivato le cellule del circuito gli animali hanno iniziato a mangiare voracemente cibo di cui non avevano, in realtà, bisogno”.

Compresi i meccanismi fisiologici dei circuiti neuronali legati alla fame, gli studiosi sperano adesso di poterli modificare anche nell’uomo, per ridurre, nei casi di obesità, sia il consumo di cibo che la sgradevole sensazione di fame. “Il prossimo passo – spiegano i ricercatori di Harvard – sarà approfondire ancora di più questi meccanismi per riuscire – concludono gli esperti -, a fornire in futuro farmaci in grado di facilitare la perdita di peso con meno fatica e sofferenza”.

L’Abstract dello studio su Nature

L’Abstract dello studio su Nature Neuroscience

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