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Talk show, analisi dallo ‘spogliatoio’: solo il ritmo (senza contenuti) detta l’agenda

Talk show, analisi dallo ‘spogliatoio’: solo il ritmo (senza contenuti) detta l’agenda
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Ieri sera il talk show lo abbiamo visto dal di dentro, perché Floris ha avuto la bella pensata di coinvolgerci nella zona Cesarini del Dimartedì. Così, aspettando il turno per entrare nell’arena, abbiamo vissuto lo spogliatoio: un ambiente Made in Sparta, con angolo buffet, fiocamente illuminato, dove a malapena distinguevi il contenuto dei panini. Ma nel semibuio era tutto un caloroso riconoscersi fra parlamentari e giornalisti delle celebri “opposte tendenze”, come capita nei circoli del bridge dove girano sempre le stesse facce e l’uno è grato all’altro che gli sarà avverso, sol perché esistendo promette di allestire il tavolo per l’amato gioco.

Il tema della serata era la disuguaglianza, il Titanic sociale, con quelli della Prima Classe che vivono nel lusso e gli straccioni (“il ceto medio impoverito”) che vivono il declino delle loro speranze fra treni lenti, burocrazie pesanti (anche quando vogliono aiutarti, come con l’Isee) e le pensioni, scarse per gli anziani di oggi e in dissolvenza per quelli di domani.

Gli squadroni degli ospiti in video sono stati lanciati, come d’uso, in cariche successive, fra un blocco pubblicitario e l’altro. Spesso ripetendosi in parole e concetti, ma l’assunto di partenza è che lo spettatore implacabile, quello che il programma se lo vede dall’inizio alla fine, sia una rarità. I combattenti più valorosi e collaudati vengono distribuiti strategicamente nella scaletta, cercando, ove possibile, di risparmiarne le forze.

Tant’è che, complice la penombra del buffet abbiamo visto Sallusti, appena reduce dal dire la sua su Lupi, rifocillarsi a lungo, per poi rigettarsi in video riguardo a non sappiamo cos’altro, per ritrovarcelo infine vis a vis quando (si era fatta una certa) anche noi, strabuzzando gli occhi, siamo finiti sotto i riflettori.

A parlare non di show business, ma di pensioni, campo in cui la nostra incompetenza è ben più solida (supponiamo che gli autori cerchino di infilare qua e là il prezzemolo del buon selvaggio). Non osiamo giudicare la nostra personale performance sul piano dei contenuti, ma di una cosa siamo certi: abbiamo badato al ritmo, per dare una mano alla baracca.

Perché dallo spogliatoio avevamo toccato con mano che i talk show extra large non vivono di contenuti (che sono sempre uguali, più o meno apocalittici o integrati), ma di ritmo, come già spiegavano gli Aristogatti. Ne constatavamo l’ansia negli occhi di Floris che, mentre parlavamo, seguiva le labbra per cogliervi l’annuncio della conclusione del concetto, fare scattar la ghigliottina dell’applauso di circostanza e rimbalzare su altro angolo e altro ospite. Gli mancava la bacchetta per essere il direttore del concerto verbale.

A proposito, proprio ieri sera Dimartedì, col 5,91%, ha superato Ballarò che si è fermato al 5,51%. Giannini, quando vuoi chiamaci. Senza problemi.

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