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Montecitorio, quei banchi vuoti e la professione dell’assenteista

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Ascolto un gruppo di ragazzi, giovani, che sono stati in visita a Montecitorio. Sono disgustati dalle assenze dei parlamentari e tra quei pochi presenti non possono non notare come molti siano attratti da altre incombenze: il tablet, il telefonino, il quotidiano, due chiacchiere col vicino di banco mentre si succedono gli interventi dei colleghi.

E’ diffusa la pratica dell’indifferenza.
Eppure ogni assente in quell’aula è pagato anche per non essere lì, anche per essere ovunque sia, ne ha diritto e se ne sbatte di chi lavora davvero. E guai a toccarlo.

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Non mi sorprendo di quante volte ho visto quei banchi vuoti, ma nemmeno ci ho mai fatto l’abitudine. E’ dannatamente noioso ripetere storie come questa, quella di chi siede a fare nulla, battendo ogni record di assenteismo e confermando ogni avidità di stipendio, è maledettamente insensato stare qui a scriverne come se ciò contribuisse a cambiare qualcosa. Ma ripetere, fino alla noia, uno scandalo che fa parte delle consuetudini nostrane, come fosse l’appuntamento di un reality, il più insopportabile, il più falso, il più dispendioso, ripeterlo fino alla noia sarà sempre meno nauseante del tacerlo e non esserne complice.

Penso ai ragazzi, giovani studenti, che mi raccontano quello che hanno visto (meglio sarebbe dire di quelli che non hanno visto) e all’esempio che ne hanno tratto, se saranno capaci di indignarsi ora e da qui in avanti e soprattutto mantenere questo sentimento, che col tempo ti convive come un dolore banale a tenerti compagnia, sintomatica vecchiaia. Quando facevo l’operaio in fabbrica dovevo rendere conto di ogni mia assenza e dovevo rispondere di questo. Lavorare era una necessità, ma farlo bene era un dovere e tutto questo senza avere sulle spalle la responsabilità di decidere per una nazione. Non si può governare un paese quando si è altrove e i banchi vuoti di Montecitorio sono pieni di una sola consapevolezza: per tutto questo ciascuno di quegli assenteisti non percepirà un soldo di meno, ché la nostra volontà di indignarci se la sono già comprata da un pezzo.

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