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Chi l’ha visto e Quarto grado, la svolta “gialla” per non perdere ascolti

Chi l’ha visto e Quarto grado, la svolta “gialla” per non perdere ascolti
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Stasera va in onda “Chi l’ha Visto?”, dal titolo vagamente solidaristico, venerdì toccherà a “Quarto Grado” dal titolo esplicitamente repressivo, ma ambedue hanno abbandonato l’originario campo semantico.

“Chi l’ha Visto?” ha iniziato a cambiare fin dal 1992, quando ci si accorse che la trasmissione nata per occuparsi di chi era scomparso, capirne le ragioni o le cause e, se possibile, riportarlo in società, stava annaspando rispetto agli ascolti dei primi anni. E fu allora che venne impressa la svolta “gialla”, affollata di misteri criminali più che di caserecce scomparse, e poi, con la conduzione di Federica Sciarelli, anche di delitti politici a completare il mazzo insieme con i delitti tout court.

“Quarto Grado” la sua evoluzione l’ha avuta più di recente, quando alla conduzione di Salvo Sottile è subentrata quella di Gianluigi Nuzzi. Così l’eccitazione imbonitoria è calata a favore del clima di mistero, nel quale Nuzzi da sempre squazza con passo sicuro. Il pubblico dapprima ha esitato, quasi dimezzandosi, ma poi si è di nuovo infoltito al punto che ormai gli ascolti di “Quarto Grado” si stanno riavvicinando a quelli di “Chi l’ha Visto?”, ma con una differenza rispetto al passato. Nel 2012 (ad esempio) sempre a metà marzo, le due audience si pareggiavano per quantità, ma non si somigliavano affatto. Però da allora il pubblico di “Quarto Grado” è cambiato (è meno maschile e meridionale) e oggi sembra quasi una goccia d’acqua rispetto a quello di “Chi l’ha Visto”. E tutto fa pensare che chi segue una trasmissione spesso segua anche l’altra.
La spiegazione di tanta somiglianza sta certamente nell’avvicinamento degli stili di conduzione, da quando con Nuzzi anche a Quarto Grado l’aria di questura ha lasciato il posto alla osservazione ravvicinata del delitto come campo di manifestazione delle passioni.

Del resto, la dominante femminile del pubblico e la circostanza che le vittime dei delitti in scaletta siano quasi sempre donne, evidenzia che i crimini “per la tv” sono quelli in cui trova ruolo un qualche tipo di passione piuttosto che un plot di azione, come sarebbe invece per il restante assortimento di misfatti, guidati da logiche di avidità o potere, e dunque a sfondo psicologico più maschile (retaggio delle disparità di genere).

Vien da chiedersi, a questo punto, come riescano a prosperare due programmi abbastanza simili e che per di più riscaldano la stessa minestra, occupandosi, e ripetutamente, degli stessi casi: Yara Gambirasio, Elena Ceste, Roberta Ragusa, etc, con Sarah Scazzi che rispunta ogni tanto. E la risposta sembra una sola: nei mass media non funziona, se non rarissimamente, la “originalità”, quanto la “variazione”. Già lo sapevamo sapeva con il romanzo e il cinema (dove domina il “genere”, che vuol dire sapere “cosa” accadrà, ma essere in attesa del “come”). E figurati se la regola non valeva ancor più in tv, il regno dei cloni!

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