Non si può certo dire che finora regnasse la calma assoluta nell’est del Paese, ma il ‘cessate il fuoco’ approvato bilateralmente da esercito ucraino e ribelli filorussi sembrava reggere. Fino alle ultime ore. Il reporter della Bbc Ian Pannell, in un video in cui chiaramente si può distinguere il suono in lontananza di un’esplosione, ci fa capire che a Donetsk poco sembra essere cambiato, nonostante l’accordo raggiunto a Minsk da Putin e Poroshenko all’inizio di febbraio.

Gli spari e le esplosioni – attenzione, sia in entrata che in uscita – udibili dalle vicinanze dell’aeroporto di Donetsk dove si trova il reporter Bbc violano, sul campo, alcuni dei punti più importanti stabiliti in Bielorussia con la mediazione di Angela Merkel e François Hollande, come il ritiro di tutte le armi pesanti dall’area da parte di entrambi gli schieramenti e il mantenimento di una zona franca della lunghezza base di 50 km, progressivamente più ampia a seconda della gittata delle armi a disposizione dei ribelli e dell’esercito di Kiev. A questo punto, considerato che il ‘cessate il fuoco’ è entrato (o forse sarebbe meglio dire “sarebbe dovuto entrare”) in vigore dal 15 febbraio scorso, pare anche che il previsto monitoraggio dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) non stia funzionando benissimo. Pare che, invece, gli altri termini a effetto immediato dell’accordo di Minsk, praticamente ignorato nella sua prima formulazione risalente a settembre dello scorso anno, siano per il momento rispettati: liberazione dei prigionieri, ritiro delle forze straniere impegnate negli scontri.

È previsto un lavoro più lungo per gli altri punti fondamentali dell’accordo, che riguardano fondamentalmente la ripresa del pieno controllo dei confini ucraini da parte del governo di Kiev, l’elaborazione (e realizzazione) di riforme costituzionali entro la fine del 2015 mirate a favorire la decentralizzazione del potere nel Paese e l’adozione di uno statuto speciale per le regioni maggiormente coinvolte nel conflitto, quelle di Donetsk e Lugansk. E pare che proprio questi ultimi due punti siano i nodi più complicati da sciogliere in sede diplomatica: Putin e i russofili spingono per una riforma che renda l’Ucraina uno Stato federale, mentre Poroshenko non sembra disposto a cedere così tanto dal punto di vista amministrativo e mira a mantenere salda l’unità del Paese, già fortemente compromessa in ogni caso. L’errore di Putin potrebbe esser stato un peccato di fretta considerato che, con l’annessione della Crimea, ha perso un importante “cavallo di Troia” utile per mettere pressione dall’interno su Kiev.

Angela Merkel aveva fatto bene ad esprimere dubbi sull’effettiva efficacia dell’accordo; tutto dimostra come, per usare le sue parole, “c’è ancora molto, molto da lavorare”. Ma è proprio la Cancelliera ad essere al centro della partita diplomatica che, nei prossimi giorni, potrebbe giocarsi tra Mosca, Atene e Berlino. Dopo aver svolto un ruolo chiave nel raggiungimento dell’accordo tra Russia e Ucraina a Minsk, la Germania si trova ora a dover risolvere la grana-Grecia: Schauble si è affrettato a bocciare l’ultima proposta del governo greco, discussa nella riunione dell’Eurogruppo di venerdì, ma Tsipras potrebbe avere un ruolo importante nella risoluzione della questione ucraina. Se è vero che le sanzioni economiche nei confronti della Russia hanno contribuito a indebolire l’economia del Paese, già sofferente per problemi di natura prevalentemente interna, è anche da non sottovalutare il flirt collaterale tra il leader di Syriza e Mosca, che non ha escluso la possibilità di valutare un eventuale aiuto economico alla Grecia in caso di fallimento delle trattative con la Troika; e Tsipras, dal canto suo, ha dichiarato a inizio mandato che potrebbe non essere così lontana l’ipotesi che la Grecia si opponga all’adozione di nuove sanzioni economiche nei confronti della Russia.

Tra tensioni sul territorio e di natura diplomatica, Angela Merkel si trova ad un crocevia importante: come non compromettere con ulteriori sanzioni o, peggio, con un supporto militare sotto bandiera Nato le relazioni con il più importante fornitore energetico dell’Ue senza perdere – allo stesso tempo – il braccio di ferro con Atene e, contestualmente, evitare la creazione di un fronte greco-russo che crei un’impasse politico-economica nel Vecchio Continente sulle questioni d’attualità che ci riguardano più da vicino? Alla fine dei conti, la flessibilità nei confronti del popolo ellenico potrebbe non sembrare più una soluzione così peregrina…

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