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Libia, armiamoci e partite

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Morire per Sirte? Nel 1939, con la domanda che passò alla storia – “Morire per Danzica?” –, in quell’Europa che sperava ancora di ammansire Hitler, il deputato collaborazionista francese Marcel Déat chiese se valesse la pena scatenare una guerra per difendere una piccola città contesa tra la Polonia e la Germania. Settantacinque anni dopo, in questa Europa divisa e distratta mentre Al-Thani, premier del governo libico filo-occidentale, chiede di agire subito “o l’Is arriverà in Italia”, Renzi, premier del paese più minacciato dal Califfato, tra un tweet e l’altro, liquida così la questione: “Non è tempo di interventi militari” (smentendo Gentiloni e la Pinotti).

È evidente che tra le due frasi non esiste nesso alcuno perché delle due l’una: o il libico drammatizza il pericolo jihadista e chiede un intervento per puntellare il suo traballante governo, o l’italiano minimizza per non avere problemi nel cortile di casa. Poi c’è la realtà delle cose che ci mostra un’Europa stretta tra il martello delle nere milizie che avanzano “a sud di Roma” e l’incudine del terrorismo che dopo Charlie Hebdo colpisce Copenaghen, mentre la furia antisemita fa scempio nei cimiteri israelitici della Francia.

Che l’Italia si trovi in primissima linea è un dato di fatto per due motivi almeno. Perché un missile Scud potrebbe essere lanciato dal Golfo della Sirte verso Lampedusa (come da comunicato Is). E perché sotto la spinta della catastrofe libica 200mila migranti potrebbero sbarcare sulle nostre coste (come da dossier dei servizi segreti).

Come al solito, invece di convocare un gabinetto di guerra, perché nel pieno di una guerra ci troviamo, il consueto teatrino italiano mette in scena la nota pochade: armiamoci e partite. C’è chi chiede “prudenza” e di “accelerare con la diplomazia” (Nicola Latorre, presidente pd della commissione Difesa): un modo lodevole per non fare nulla visto che i tagliagole trattano solo a colpi di ascia. Poi c’è “l’uso della forza, ma sotto l’egida Onu” della renziana Simona Bonafè: proposta che, immaginiamo, non farà morire di paura l’autoproclamato califfo al-Baghdadi.

Nel settembre 2014, al ritorno da Seul, Papa Francesco evocò il pericolo imminente di una terza guerra mondiale “combattuta a pezzi, con crimini, massacri, distruzioni”. Ora ci siamo dentro e Renzi lo sa. Ma a morire per Sirte (e per l’Italia) ci vada qualcun altro.

Il Fatto Quotidiano, 17 febbraio 2015

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