Archiviata l’inchiesta per violenza sessuale e abuso di potere a carico dei monaci dell’Abazia di Chiaravalle. Nessun reato, nessun colpevole. E chi ci è passato, sfiduciato dalla giustizia, guarda al Tribunale dei Diritti a Strasburgo. Giovedì si è svolta l’udienza decisiva per la vicenda, raccontata da ilfattoquotidiano.it, che ha sconvolto la tranquilla comunità religiosa alle porte di Milano. Il gip del Tribunale del capoluogo lombardo ha disposto l’archiviazione del procedimento che vedeva indagati due frati e un ex novizio come vittima. Le indagini sono durate sei mesi e avevano preso le mosse da una querela di parte avanzata dall’ospite dell’Abazia che aveva denunciato di essere stato più volte molestato sessualmente da due frati cui si era rivolto per chiedere aiuto. Una denuncia che veniva rafforzata dalla testimonianza di una altro ospite che ha depositato in Procura video espliciti degli atti sessuali come fonte di prova di un abuso e di una condotta ispirata allo stato di costrizione in cui versava chi subiva le attenzioni sessuali.

Dalle deposizioni dei querelanti era emerso un quadro che gli stessi inquirenti avevano ritenuto debole sul fronte del reato, per quanto “la condotta degli indagati non si addicesse ai monaci”. Nelle motivazioni del decreto di archiviazione ritorna questo elemento, suffragato dal fatto che le presunte vittime non fossero minorenni e che in almeno un caso – il rapporto orale consumato da un monaco – si potesse ritenere che fosse consenziente. Alla richiesta di archiviazione si era opposto l’avvocato dell’ex novizio che chiedeva una proroga delle indagini per poter ascoltare altre persone che, nel frattempo, avevano avvalorato la commissione di atti sessuali ma che non avevano sporto denuncia, preferendo abbandonare subito Chiaravalle e la comunità religiosa.

L’epilogo della storia poteva riservare anche un colpo di scena. Il giudice nella sentenza stigmatizza la condotta delle stesse vittime e indica come “inquietanti” le circostanze con cui hanno tentato di far emergere la loro denuncia. A detta loro per dimostrare i fatti ed essere creduti, laddove la sola denuncia presso le autorità vaticane, i superiori e le gerarchie della diocesi milanese non avevano sortito effetti. Il gip intravede l’elemento “inquietente” di una premeditazione che avrebbe potuto portare a un ribaltamento di posizione tra accusati e accusatori. E tuttavia lo stesso giudice esclude, in ogni caso, che quelle azioni fossero finalizzate a mettere in pratica pratiche estorsive nei confronti dei religiosi. Pari e patta, nessun reato e nessun colpevole. Così si conclude una vicenda che ha gettato ombre lunghe su un luogo simbolo della cristianità milanese. Ma potrebbe avere una coda lontano dall’Italia. “Sono pronto a ricorrere alla corte di Strasburgo – annuncia l’ex novizio – perché qui, per vicende come questa, non c’è giustizia divina né terrena”.

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