Bisogna essere onesti e affermarlo con chiarezza: Matteo Renzi esce da trionfatore dalla prima giornata di votazioni per il presidente della Repubblica. Ha preso esempio da Silvio Berlusconi e usando i suoi metodi lo ha battuto. Il duro faccia a faccia di mercoledì 28 gennaio durante il quale, secondo i racconti dei cronisti parlamentari, il premier ha detto al suo alleato del Nazareno che non c’erano alternative a Sergio Mattarella ha messo nell’angolo il pregiudicato di Arcore. Il nome di Mattarella, in passato fieramente anti-berlusconiano, è stato preso da Berlusconi come una sorta di minaccia. Anche perché come gli ha fatto capire Renzi, se Mattarella fosse saltato il Pd avrebbe votato Raffaele Cantone o l’ancor più odiato Romano Prodi. E non Giuliano Amato, come era stato fatto balenare in precedenza. Incassato a fatica il colpo Berlusconi ha prima pensato di far buon viso a cattivo gioco.

Consigliato da Fedele Confalonieri, che sottolineava quanti benefici avesse fin qui portato alle aziende l’accordo con Renzi, l’ex cavaliere, pur gonfio di rabbia, è stato tentato dal co-intestarsi la scelta di mandare al Quirinale l’ex ministro della sinistra Dc. Renzi però non gliene ha dato il tempo. Alle 10 di sera di mercoledì lo ha messo di fronte al fatto compiuto. Il nome di Mattarella è stato annunciato ufficialmente prima che da Arcore arrivasse l’assenso. Uno sgarbo calcolato o meglio, come dirà la mattina dopo proprio l’ex Cavaliere davanti ai suoi grandi elettori furenti: “Una presa per i fondelli”.

Anche per questo il leader di Forza Italia si è reso conto che la linea suggerita da Confalonieri non poteva più essere seguita. Il partito, già furibondo per aver ingoiato al Senato una legge elettorale che premia non la coalizione, ma la lista più votata, gli stava inesorabilmente sfuggendo di mano. I fedelissimi come Paolo Romani e Renato Brunetta puntavano l’indice contro le trattative condotte da Denis Verdini (il quale ha protetto il Capo assumendosi pubblicamente la responsabilità del risultato disastroso). All’improvviso la corte ha fatto capire di non essere disposta ad ingoiare un altro rospo per far fronte alle necessità di Berlusconi di conservare la roba (Mediaset, ma sopratutto Mediolanum) sperando pure di veder riproposta il 20 febbraio la delega fiscale che con la sua soglia del 3% sulle frodi può portare all’annullamento della condanna del loro leader.

Merce di scambio più che accettabile per l’ex Cavaliere, ma indigesta per chi in Forza Italia dovrà continuare a fare politica anche in sua assenza. E soprattutto altro fieno per la cascina dei dissidenti capeggiati da Raffaele Fitto che imputano a Berlusconi la svendita del partito e di ogni sua futura possibilità di vittoria.

Sul fronte opposto, quello del Pd, la scelta di Mattarella è servita per ricompattare tutti i democratici, a partire da quelli della minoranza. A far apparire l’ex democristiano come un candidato anti-patto del Nazzareno sono serviti il suo storico legame con Rosy Bindi, ovvero uno degli esponenti più anti-renziani del Pd, e un curriculum in cui spiccano le dimissioni da un governo Andreotti per protesta nei confronti della legge Mammì.

Da questo punto di vista bisogna riconoscere che a oggi lo spregiudicato premier è stato protagonista di un capolavoro di tattica politica. Uno scacco al Re, reso ancora più evidente dalla scelta della base del M5s di mettersi fuori gioco votando un candidato di bandiera come l’ex magistrato Ferdinando Imposimato.

Lo dimostra il fatto che Berlusconi, dopo aver telefonato a Mattarella (è bene per lui non rompere tutti i ponti con il candidato probabile vincitore), ha solo annunciato che dalla quarta votazione Forza Italia voterà scheda bianca. E non sapendo cosa altro fare ha minacciato di bloccare la legge elettorale e le riforme costituzionali. L’Italicum però è ormai alla Camera dove il Pd non ha bisogno dei voti di Arcore per approvarlo e le modifiche alla Carta ritorneranno al Senato solo tra molti mesi. Da questo punto di vista insomma il rischio di Renzi è relativo.

La partita però non va considerata chiusa. Sbollita la rabbia Berlusconi deciderà come muoversi. In passato, in occasione della fiducia all’esecutivo di Enrico Letta, ha cambiato idea all’ultimo minuto. Difficile che possa farlo ora. Ma va ricordato che il governo a palazzo Madama, dove il capogruppo del Pd ha fin qui votato allo stesso modo di quello Forza Italia in più del 90 per cento dei casi, continua ad avere una maggioranza troppo risicata per pensare di navigare tranquillo.

Il patto del Nazareno, che il Pd ritiene indispensabile per le riforme, può dunque ripartire da qui. Ma al suo interno è ragionevole supporre che cambieranno i rapporti di forza. Renzi comanda e Berlusconi segue. L’azionista di maggioranza dell’accordo è il premier. E lo sta dimostrando.

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