Il presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio, ha disposto un’indagine interna all’ospedale di Corigliano al centro dell’inchiesta “Medical Market” coordinata dalla Procura di Castrovillari che ieri ha arrestato alcuni medici accusati di rilasciare certificati per numerosi falsi incidenti stradali e per inesistenti patologie di dipendenti pubblici e falsi invalidi. Oltre alle truffe per i falsi incidenti stradali, a fare impressione è stata la vicenda di una madre di 36 anni, Stefania Russo (finita agli arresti domiciliari), che, stando all’inchiesta della Guardia di Finanza e della Polizia Stradale, avrebbe fatto morire il suo bambino nato prematuro per riscuotere l’indennizzo assicurativo e poi dividerlo con il medico Sergio Garasto, anche lui arrestato per non aver prestato alcuna assistenza sanitaria al feto.

Agghiaccianti alcuni passaggi dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Castrovillari Letizia Benigno secondo cui la donna arrestata “strumentalizzava con premeditazione e perseveranza il suo stato di gravidanza per vili scopi economici, acconsentendo ed anzi decidendo tardivamente la soppressione di un feto già potenzialmente capace di vita autonoma e quindi potenzialmente già bambino”.

La vicenda è iniziata il 3 maggio 2012 quando Stefania Russo è stata accompagnata al Pronto Soccorso di Corigliano Calabro “lamentando dolori addominali – è scritto nell’ordinanza di arresto – e riferendo di essere rimasta vittima di incidente stradale. Gli accertamenti svolti nella immediatezza dai sanitari di turno, tuttavia, non accertavano l’esistenza di lesioni da trauma violento ed anzi le indagini diagnostiche evidenziavano come la condizione uterina fosse normale e con il feto si presentasse nella norma”.

Il 15 maggio la donna ci riprova e torna al Pronto Soccorso dello stesso ospedale dove, di turno, c’era il dottore Sergio Garasto. Stesso copione: “Stefania Russo, allora in stato di gravidanza avanzata, lamentava di essere rimasta vittima di incidente stradale sulla statale 106”. Nell’immediatezza del fatto il medico ha dichiarato ai carabinieri “si sarebbe subito reso conto che la donna aveva espulso il feto”. Sempre il dottore arrestato ha affermato di aver soccorso il bambino prematuro “ponendo in essere invano manovre rianimatorie, per poi richiedere l’intervento della collega Pagliuso Fabiano Mariagrazia del reparto di ginecologia per le cure necessarie alla Russo”.

Versione questa contrastante con quella fornita agli inquirenti dalla stessa ginecologa che ha preso in carico la paziente. La dottoressa, infatti, ha dichiarato che il “cordone ombelicale ancora non era stato reciso”. Ai fini della rianimazione del feto però, “è assolutamente indispensabile recidere il cordone ombelicale per poi procedere al compimento delle manovre rianimatorie che vengono fatte dal pediatra e dall’anestesista”.

Ma questa non è l’unica incongruenza della versione fornita dal medico Garasto. Un infermiere, infatti, ha affermato che “Russo Stefania indossava un pigiama che non presentava né macchie ematiche né di altro liquido, e che il feto si presentava abbastanza pulito come se fosse stato espulso già da tempo e non poco prima”.

Agghiaccianti le dichiarazioni di un’altra infermiera la quale avrebbe notato “il feto fare alcuni movimenti, anche se minimi, per esempio che muoveva le manine e che gli sembrava ancora vivo”.

Dall’autospia disposta dal pm, infatti, è emerso che “il feto una volta espulso aveva respirato e la morte era sopraggiunta per arresto cardiaco respiratorio da insufficienza cardiorespiratoria acuta in feto al terzo trimestre normo-conformato, vivo e vitale conseguente ad aborto procurato”.

Tre giorni dopo, il 18 maggio, la madre è stata visitata dai periti della Procura secondo cui “l’aborto di Russo Stefania non può ricondursi a trauma addominale da incidente stradale e la causa dell’espulsione del feto è da ascriversi ad aborto indotto, ovvero ad azione meccanica iatrogena da rapportare a pratica abortiva procurata farmacologicamente o chirurgicamente e, pertanto, non riconducibili ad esiti di incidente stradale”.

A insospettire i carabinieri, inoltre, c’è la versione fornita dalla madre circa l’incidente avvenuto sulla statale 106. Gli investigatori, infatti, non sono riusciti a scoprire dove si è consumato il sinistro mentre la donna non è stata in grado di fornire neanche i nomi degli “amici” che sarebbero stati in macchina con lei al momento dell’impatto. Amici che non si sarebbero neanche preoccupati delle condizioni di Stefania Russo dopo che questa ha abortito.

Ad aggravare la posizione del medico, infine, ci sono i numerosi contatti telefonici, precedenti alla morte del feto, tra il dottore Garasto, Nunziatina Falcone (che ha accompagnato la Russo al Pronto Soccorso dell’ospedale di Corigliano) e Pietro Andrea Zangaro, una sorta di intermediario (con diversi precedenti per truffa) al quale la madre del bambino si sarebbe rivolta dopo aver appurato che era in ritardo per la pratica dell’aborto legale.

La mamma, l’amica, il medico e l’intermediario oggi sono tutti agli arresti domiciliari. Sarà il processo a stabilire se hanno ucciso il feto mentre le indagini continuano per capire dove e chi ha praticato l’aborto a Stefania Russo. A voler vederci chiaro, adesso, anche la Regione con un’indagine interna – è scritto in una nota stampa della giunta regionale – “al fine di verificare eventuali responsabilità. Tale verifica è stata avviata anche con l’obiettivo di supportare le attività investigative della magistratura e degli organi inquirenti”.

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