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Guerre per gioco e giochi di guerra: cosa serve alle democrazie per affrontare il terrorismo

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War-games-VergaDi recente sono stato invitato a partecipare ad una raccolta di saggi, io li definisco modestamente punti di vista, per la pubblicazione quadrimestrale Il Nodo di Gordio. Il titolo del numero di dicembre era War Games: giochi di guerra. Mentre scrivevo la mia riflessione sullo scenario futuro dei droni, riflettevo sul concetto di gioco e di guerra.

E’ da poco passato l’evento di Parigi e differenti giornali, di solito di area nazionalista, inneggiano alla guerra dell’Islam contro l’Occidente. Nella pubblicazione cui ho partecipato si affronta, grazie al contributo di altri analisti, differenti scenari di impiego di risorse in ambito bellico. Tuttavia il tema forse più interessante scaturito dal convegno (organizzato per presentare la pubblicazione ai decision maker di esercito e governo), a cui ho preso parte, era la gestione stessa delle risorse e la loro flessibilità. La guerra a cui spesso si fa riferimento è quella simmetrica: due o più eserciti che si scontrano. Conflitti simili sono tuttavia sempre più rari (si potrebbe dire fortunatamente). Tra tutti i conflitti attualmente dichiarati e combattuti nel mondo solo alcuni implicano l’utilizzo di mezzi pesanti (a volte più come arma di deterrenza che di offesa). L’Ucraina è forse il conflitto al momento che vede impiegati armamenti sofisticati. Lo scontro in ‘Siriqistan’ (temporanea commistione di Siria e Iraq in salsa islamica) ha una certa intensità nell’uso di mezzi corazzati ma tuttavia il grosso del fronte, spesso liquido, si traduce in scontri tra fanterie meccanizzate (in pratica uomini con armi pesanti su fuoristrada).

Auspicabilmente scenari di confronto bellico futuro non vedranno l’impiego massiccio bilaterale di armamenti pesanti, quindi il concetto di guerra, e la definizione delle risorse da stanziare per ricerca, sviluppo, e produzione dovrebbe essere seriamente rivalutato. Invero lo stesso concetto di sfida bellica necessita una nuova visione. Può servire una Marina avanzata? Probabilmente sì, ma il suo utilizzo, come dimostrato negli ultimi tempi dalle immigrazioni clandestine, può essere uno strumento di supporto e deterrenza (se possibile).

Un approccio interessante ci viene offerto dalle forze armate americane dove ai mezzi convenzionali sempre più spesso fanno la loro presenza unità che coordinano nuove risorse: dai droni di ricognizione alle unità di contro terrorismo cibernetico.

Con quali sistemi una democrazia che ha un esercito simmetrico può affrontare la sfida del terrorismo? Frammentati in cellule sparse nelle maggiori città europee? Egualmente come affrontare le sfide siriane, quelle nigeriane o libiche?

Servono truppe sul campo. Ma ogni soldato schierato sul campo è un possibile bersaglio. Cosa ovvia se si va in guerra ma una democrazia sempre più spesso si trova poco incline a usare i “suoi ragazzi” per missioni dove si rischi la vita. Ecco quindi la crescita e la diffusione di sistemi atti a minimizzare la presenza di soldati umani sul campo. Avanzati sistemi di ricognizione, attività sempre più intense di intelligence e solo in ultima istanza la forza umana. In un mondo sempre più articolato, dove giovani operatori di pace si avventurano impreparati in un teatro di guerra, il concetto di gioco sembra sempre più manifesto. Ovviamente non parlo di un gioco divertente né innocuo. Il problema al più è comprendere quali siano le nuove regole del gioco e adattarsi. In tutto questo la scelta delle risorse da stanziare e impiegare diviene fondamentale per affrontare le nuove sfide. In tal senso la pubblicazione di War Games offre degli scenari e spunti di riflessione intriganti, specialmente per gli esperti del settore e i decisori.

Twitter: @enricoverga

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