Il meccanismo è simile a quello di un qualsiasi social network: si crea un profilo, si forma una community di amici, e si comunica. Mindbook, tuttavia, non è una piattaforma come tutte le altre. Nato dalla collaborazione tra l’Università di Parma e la cooperativa sociale Tice di Piacenza, infatti, è un social network studiato per insegnare ai ragazzi con disturbi dell’apprendimento, problemi di sviluppo, autismo e disabilità, l’utilizzo in sicurezza dei social network. “E’ un modo per mettere la tecnologia al servizio dell’educazione, favorendo al contempo l’integrazione – racconta Francesca Cavallini, presidente di Tice – e consente agli adolescenti autistici o con disabilità psichiche di socializzare anche via web, creando una rete di contatti tra ragazzi e famiglie utile a favorire lo scambio di esperienze e l’apprendimento di uno strumento che oggi tra i giovani è molto popolare, ma da cui spesso questi ragazzi sono esclusi proprio perché fanno fatica ad accedervi”.

Per ora la piattaforma è offline, “per mettere online Mindbook servirebbero altri 35.000 euro e stiamo cercando degli sponsor”, spiega Cavallini, tuttavia la struttura è pronta e si articola su 3 livelli: il primo è il Basic, “e più che altro si rivolge alle famiglie dei ragazzi con gravi disabilità psichiche”. Ad aprire il profilo e a gestirlo, infatti, sono le mamme e i papà, che su Mindbook possono incontrare altre famiglie che condividono problematiche simili. “E visto che inseriremo una localizzazione geografica come quella di Facebook, potrebbe essere utile, ad esempio, anche per creare opportunità di sviluppo dei servizi territoriali, formulare richieste alle pubbliche amministrazioni e a mettere in rete le proprie esigenze”.

Il livello 2, invece, è il Friend: “A controllare l’account c’è sempre un adulto, che però insegna al ragazzo come usare il social. In questo modo si evitano gli episodi spiacevoli, purtroppo i ragazzi disabili sono più spesso vittime di bullismo, di pedofilia, e in questo ambiente protetto potrebbero invece crearsi un cerchio di amicizie con cui interagire in sicurezza”. Superato il livello 2 gli iscritti sono pronti per accedere al livello 3, Intimity, molto simile a un social vero e proprio. E infatti è l’ultimo step, prima che il giovane utente possa passare alle piattaforme ‘reali’, come Facebook, portando con sé anche la propria community di amici. “Mindbook è un temporary social network, nel senso che gli iscritti rimangono nella piattaforma per un massimo di tre anni, poi, quando hanno imparato a gestire il proprio profilo, passano direttamente al web ‘reale’”. Nessuna ghettizzazione, quindi, precisa Cavallini, “non è un social per soli disabili, ma un passaggio intermedio che permette loro di socializzare in sicurezza. Spesso chi ha una disabilità psichica ha problemi a farlo, e incontra difficoltà anche a confrontarsi con la tecnologia: noi crediamo che sia importante, invece, insegnare loro ad apprendere l’utilizzo di questi strumenti, purché ciò avvenga senza pericoli”.

L’idea, a Cavallini, è venuta proprio riflettendo sulle difficoltà che i ragazzi con disabilità psichiche affrontano nell’interagire con i propri coetanei: “Pensiamo al tema dell’assistenza sessuale. I disabili, come tutti, hanno l’esigenza di avere rapporti fisici, ma per loro è più difficile, per questo è nata l’idea dell’assistente sessuale. Lo stesso discorso vale per i giovani, che hanno bisogno di comunicare con i coetanei, relazionarsi. Il web oggi è una costante per gli adolescenti ed è giusto che tutti possano utilizzarlo, anche chi è autistico o ha la sindrome di down”.

E se la tecnologia può essere utile per socializzare, sottolinea la presidente di Tice, “socializzare aiuta a imparare più velocemente ad utilizzare la tecnologia, perché è divertente”. “Speriamo di riuscire a coinvolgere nuovi sponsor per raccogliere i fondi che ci mancano per mettere online Mindbook, dopo di che vorremmo partire con una sperimentazione di sei mesi in tutta Italia”. Sette start up, cooperative modello Tice, e cioè specializzate nell’educazione dei ragazzi con disabilità, infatti, in tutto il paese sono pronte a partecipare alla fase pilota del social network, “utile a testare il sistema e a valutare eventuali migliorie”. Dopo di che la piattaforma può ufficialmente partire: “Io vorrei che si iscrivessero in molti, credo che sarebbe utile sia per i ragazzi, sia per le loro famiglie. Ovviamente so che il nostro progetto desterà qualche perplessità, le novità suscitano sempre dubbi, tuttavia sono convinta che si debba investire sulla tecnologia per favorire cultura e integrazione”.

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