Ieri non è stato un gran giorno per quel che resta della democrazia nel nostro Paese. Da bravi insegnanti, avevamo fatto bene i compiti. Dopo la nota del direttore generale del Miur, Gildo de Angelis, che il 3 ottobre chiedeva di indire collegi e assemblee per discutere sul documento La Buona scuola di Matteo Renzi, gli Autoconvocati della scuola hanno iniziato la raccolta: frutto di discussione, riflessione, negoziazione di centinaia e centinaia di docenti, studenti e genitori. Di mozioni e delibere di collegi dei docenti e di assemblee studentesche e dei genitori, infatti, ne sono arrivate centinaia. Nessuna – nessuna – a favore del piano Renzi. Si tratta del frutto dell’analisi e dell’elaborazione – spesso straordinariamente accurata – attraverso le quali molte scuole hanno detto no – talune con documenti all’unanimità – al più grave attacco sferrato alla Scuola della Costituzione Italiana. Persino l’istituto della First Lady ha pubblicato il proprio dissenso al La Buona Scuola”. In molti casi i documenti raccolti non si sono limitati alla critica, ma hanno appoggiato un disegno di legge – la Lip – scritta da docenti, genitori, studenti – cittadini – forte dell’appoggio di 100mila firme certificate.

miur

Una risposta inequivocabile alla campagna di “ascolto” organizzata dal Governo, che si è avvalsa della compiacenza della maggior parte dei media, portata avanti con la collaborazione di parlamentari ed esponenti del Pd, coadiuvata da una mitragliata di spot pubblicitari che sono passati sui canali Rai, radio e Tv. Una risposta ufficiale, formale e legittima – quali sono le delibere e le mozioni – molto più di qualsiasi segno di spunta che i pochi che hanno voluto accedere al sondaggio online sulla “La buona Scuola” (65mila, nulla rispetto alla potenzialità= hanno potuto inserire. Il frutto di un’idea demagogica e mistificatoria di quell’”ascolto” tanto sbandierato dal Governo (salvo poi dire: ascolto tutti, ma decido io), che ha previsto indagine esclusivamente su ciò che si è ritenuto di indagare. Un esempio per tutti: a proposito dell’entrata dei privati nelle scuole (“lo Stato non avrà mai i fondi da impegnare nella scuola, dunque…”) il sondaggio prevedeva come e a quale finalità destinare gli eventuali fondi, senza porre in discussione l’accesso in sé.

Ieri mattina Roma è stata attraversata dalla manifestazione di sindacati di base, sinistra Cgil, precari e studenti che in tutta Italia hanno protestato contro il piano generale di attacco ai diritti del mondo del lavoro. Alle 3 del pomeriggio docenti – Cobas e Autoconvocati – si sono ritrovati insieme agli studenti davanti al Miur. Oggi, 15 novembre, è il giorno della chiusura della “consultazione” sul Piano Scuola di Renzi-Giannini. Gli Autoconvocati hanno portato con sé delibere e mozioni, per poterle presentare, in delegazione, al ministro o ad un funzionario. L’autenticità della volontà di “ascolto” del Governo è stata subito chiara: 4 file di guardie di Finanza e Carabinieri, in tenuta antisommossa – caschi e scudi, 2 camionette ad ingombrare le rampe di accesso, elicotteri che sorvolavano l’area – hanno impedito l’ingresso al Miur: facendo cordone e pressandoci verso le scale. Impassibili molti, più disorientati quelli cui abbiamo chiesto: ma ce l’hai un figlio a scuola? Nessuno di noi ha spinto, nessuno ha pressato. Siamo stati ricacciati, come pericolosi sovversivi, verso le scale: chiedevamo solo di essere ascoltati, di presentare i nostri documenti. Un trattamento al quale tutte le forze sociali che vogliano democraticamente partecipare al processo decisionale, esprimendo liberamente la propria opinione, devono evidentemente adattarsi. Ma oggi è stata particolarmente dura: perché si è concretizzata (attraverso la blindatura e una inequivocabile maniera di dire “no” al dialogo) l’idea di tutto ciò che stiamo dilapidando assieme alle nostre energie: democrazia, principi, senso oltre le parole. Questo l’”ascolto” del governo Renzi.

Si è trattato di uno di quei momenti in cui ti chiedi come sia stato possibile arrivare fin qui, allo scialo definitivo di conquiste che altri hanno compiuto per consegnarcele e farne tesoro. Sappiano, però, che siamo docenti: studiare, approfondire, complessificare è la nostra arma, contro l’arroganza dell’arbitrio, contro l’incultura dell’approssimazione e della velocità e il sacrificio dei diritti. Sappiano che la nostra risposta ad un documento pedestre, scritto sciattamente in un mese, infarcito di anglicismi di matrice economicista, che nasconde sotto la carota dell’atto dovuto delle assunzioni il bastone della cessazione dei diritti e – soprattutto – della Scuola della Costituzione – esiste; e appoggeremo in tutti i modi la sua concretizzazione: si chiama la Buona Scuola della Repubblica, la Lip, un progetto di scuola laica, inclusiva, democratica, pluralista e – soprattutto e quindi – rigorosamente statale; sappiano che, a fronte di una parte di noi che si nasconde dietro l’inerzia, l’incuria, la rassegnazione, facili protezioni contro l’impegno per l’interesse generale che la scuola statale deve configurare, ce ne sono molti tenaci e intransigenti in difesa dell’ultimo baluardo democratico: la difesa dei principi costituzionali; provino, infine, a produrre una documentazione altrettanto convincente del consenso (che dicono la proposta Renzi abbia riscosso) di quella che abbiamo prodotto oggi pomeriggio; con la quale abbiamo tappezzato le scale del ministero, attaccando le delibere ad improvvisati nastri per “lavori in corso”.

Ai docenti: l’“ascolto” si chiude oggi, segnato da questo vergognoso episodio. Non è però che l’inizio. Siamo chiamati ancora una volta – una delle tante negli ultimi lustri, ma certamente la più difficile, perché la più insidiosa – a rinnovare la nostra vigilanza e il nostro impegno. Per scongiurare la possibilità che procedure autoritarie e abusi di procedimenti di urgenza ci impongano un progetto di scuola – e di società – che ignori le voci delle migliaia di cittadini che l’hanno – con atti realmente formali – rimandato al mittente.

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