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Utero in affitto: pratica controversa, ma togliere un bambino alla famiglia non si può

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neonatoQuel bambino non è figlio loro, nonostante da tre anni viva con loro. Quindi, deve essere dichiarato adottabile, perché i genitori biologici non sono rintracciabiliLa Corte di Cassazione ha deciso così di togliere un bimbo a una coppia di Brescia che si era recata in Ucraina nel 2010 per avere un figlio con la maternità surrogata, che il nostro ordinamento vieta esplicitamente (come il caso dello scambio di provette all’ospedale Pertini ha ricordato).

La coppia aveva sperato che il proprio caso, come tanti altri in questi anni in materia di fecondazione assistita, potesse essere utilizzato proprio per costringere la legge italiana ad armonizzarsi con quella della comunità internazionale. Ma purtroppo non esiste un orientamento condiviso in Europa in merito all’utero in affitto. Non solo: i giudici hanno fatto riferimento all’ordinamento italiano, appunto, per il quale “la madre è colei che partorisce” e al divieto esplicito nella nostra normativa di surrogazione di maternità, che non sarebbe stato travolto, secondo i giudici, dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale del divieto di fecondazione eterologa.

Dal punto di vista formale, la decisione è ineccepibile, perché le legge parlano chiaro. Formalmente i genitori non possono neanche essere dichiarati genitori adottivi, perché se la maternità surrogata è vietata non hanno alcun motivo per che sia loro riconosciuta una strada preferenziale, avendo compiuto un atto illecito. Eppure, dal punto di vista sostanziale, questa sentenza  ha conseguenze paradossali.

Ora, l’utero in affitto – come mi è capitato più volte di scrivere su questo blog – è una pratica veramente controversa, per le conseguenze psicologiche gravi che ha su una madre che ha appena partorito e deve lasciare suo figlio a poche ore dal parto e per un bambino che viene privato del legame con la propria madre biologica proprio nel momento in cui ne avrebbe bisogno. Fortissimi, inoltre, sono i rischi di sfruttamento di madri povere. Eppure di fronte a una situazione di fatto i giudici dovrebbero comunque interrogarsi: non è possibile togliere un bambino dalla famiglia in cui è cresciuto, pena la sua devastazione emotiva e psicologica. Questa sentenza, inoltre, può costituire un precedente per i tantissimi altri casi di bambini arrivati in Italia con questa pratica.

E allora? Come ha detto Melita Cavallo, presidente del Tribunale dei minori di Roma (la stessa che decise, con acume e tatto, sul caso degli embrioni scambiati al Pertini), è urgente che “il legislatore provveda a mettere mano ad una legge che prenda atto che la realtà è cambiata”. Decidere in che direzione andare è molto difficile, specie visto che fare le leggi è una classe politica che in questi anni sulla bioetica o ha fatto leggi illiberali o sbagliate o si è limitata ad attendere che queste leggi fossero smontate dai giudici, senza considerare l’enorme sofferenza di chi si è dovuto rivolgere ai giudici per vedere riconosciute norme coerenti.Non credo, dunque, che avremo presto una soluzione. Nel frattempo, però, a farne le spese sono i bambini, e le famiglie che hanno utilizzato le leggi di altri paesi forse in maniera spregiudicata e poco attenta alle conseguenze, ma sicuramente non per compiere un atto criminale. Solo per avere un figlio da amare e crescere.

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