Era una figa da paura, non potevo smettere di guardarla, poi si è girata e mi ha detto: “Ma che cazzo vuoi?”, le avrei dato due schiaffi a quella scema, ma tu guarda che modo di reagire! Ascoltavo questo, all’incirca un anno fa, dalla bocca di un mio amico (di amici sessisti, come tutti, sono aihmè ben fornito). Conosco, il più delle volte, chi frequento e non sempre entro in battaglie che so già di perdere in partenza. A volte, una certa sensibilità si possiede, si può affinare, migliorare, può permettere un confronto tra idee anche molto diverse, altre volte si parte da zero ed era quello il caso. Avrei lasciato perdere, se non ci fosse stato quel “le avrei dato due schiaffi”.

La triste espressione cominciò a bombardarmi la testa, non potevo stare zitto. Respirai, mi accorsi di essere arrabbiato, ma volevo che la rabbia mi servisse a qualcosa, non volevo attaccare, volevo provare a mettere in discussione le certezze del mio amico, senza che lui sentisse di doversi mettere sulla difensiva. Provai ad ipotizzare con lui la possibilità che quella donna fosse stata guardata da occhi vogliosi di uomini carichi di pensieri invadenti , talvolta di parole, tutto il giorno e che probabilmente non fosse la prima volta che le accadeva. Una frequente ed ostentata ricerca di intimità a cui veniva sottoposta da gente che non ne aveva alcun diritto.

Questa situazione può essere ragionevolmente fastidiosa in strada pubblica ed in pieno giorno, sicuramente ansiogena in altri contesti meno sicuri. Concessi e mi concessi anche il beneficio del dubbio che quel tipo di risposta, da parte della donna, fosse stata aggressiva, ma, se l’espressione “figa da paura” trapelava dallo sguardo incriminato, qualcosa mi lasciò supporre di sì, la reazione  poteva comunque considerarsi legittima, potevano esserne cambiate la modalità forse, ma il contenuto del messaggio sarebbe stato identico e chiaro: “lasciami stare, mi dà fastidio come mi guardi” (“come mi guardi”, non necessariamente “che mi guardi”, c’è differenza).

Cercai di non perdermi nei dettagli, ma di restare sul contenuto e provare a sviluppare nel mio amico una visione più empatica o comunque meno ristretta al suo punto di vista, senza polemiche o sorta di rimproveri. Cosa può significare, per una donna in strada, lo sguardo di un uomo sconosciuto? Niente, sapevo già di perdere e trovai conferma. Facevo i conti con il maschio ferito, quello rifiutato, la volpe che non arriva all’uva e quindi la considera non più buona. La reazione improvvisa della ragazza lo spiazzò e lo zittì, ma ebbe poi tutto il tempo per costruirsi una spiegazione dell’accaduto che non minacciasse troppo la sua idea di uomo: la ragazza era una stronzetta che se la tirava, manco ce l’avesse solo lei (permettetemi di utilizzare un linguaggio che “renda onore” al concetto).

Il mio amico si arrabbiò con me perché non stavo dalla sua parte, non stavo capendo realmente, ero “prevenuto” a causa del mio lavoro, la maleducazione è maleducazione, non capiva a cosa mi convenisse negarlo. Cedetti, chiusi il discorso. Vorrei dire che mi passò anche la rabbia, ma in realtà aumentò. Consapevole della mia impotenza, in quella specifica situazione, provai ad accettare che il mondo non si può cambiare tutto e subito.

Mi si dirà: “Cambia almeno gli amici!” Ne dovrei cambiare troppi purtroppo e non perché veda il sessismo ovunque, ma perché, se non è comunque ovunque, di certo non lesina la sua presenza. Preferisco rimanere nelle relazioni e cambiare quel che posso cambiare , ho descritto una situazione come tante, ma non come tutte, in alcune intervenire o uscire fuori da determinate dinamiche può produrre effetti insperati.

Perché scrivo questo a distanza di un anno? Perché il ricordo del mio amico mi è tornato prepotentemente a galla guardando il video di sensibilizzazione contro le molestie in strada del gruppo Hollaback in cui una ragazza gira per New York da sola per qualche ora, mentre il suo compagno, davanti a lei, munito di microfoni e telecamera, registra gli sguardi ed i pesanti commenti degli uomini, ogni tanto accompagnati da inquietanti  pedinamenti fianco a fianco. Una ragazza normale, vestita con semplice jeans e maglietta neri, niente che possa attirare l’attenzione particolarmente su di lei, eppure c’è da non credere a quel che si vede e si sente in pieno giorno in una città come New York (il nostro Occidente che tanto rimarca l’emancipazione della donna rispetto ad altre culture). Quei commenti, lo ammetto, mi hanno fatto vergognare, per un attimo, di essere uomo, poi però ho pensato che non siamo tutti così, io non voglio esserlo e conosco tanti uomini che non vogliono esserlo, allora divento anche orgoglioso di quello che faccio o che quantomeno provo a fare perché la libertà di noi uomini non si può che esprimere attraverso la libertà delle donne.

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